«Il moderatore, che è un uomo, pare sia al trucco. Noi però siamo pronte». Avrà annusato l’aria, Angelo Mellone de Il Tempo. Inizia in autogestione il secondo appuntamento sul tema Donne, media e potere del Festival Internazionale del Giornalismo. Una tavola rotonda vivace e dai toni accesi, tra provocazioni del moderatore, frecciatine e liti sfiorate. Le quattro ospiti sono Maria Laura Rodotà, firma del Corriere della Sera, Tiziana Ferraio, storica conduttrice per la Rai del Tg1 delle 20 adesso destituita, Laura Laurenzi, de La Repubblica e Cristina Sivieri Tagliabue, Sole24Ore.
Quando Mellone arriva, trova una sala non strapiena ma con un pubblico partecipe. Le facce, però, sono già scure. Cristina Tagliabue apre l’incontro presentando un suo particolare lavoro, senza alcuna presunzione statistica: una conta delle firme femminili sulle prime pagine di 15 quotidiani nazionali di una domenica qualunque. I migliori ne hanno due su dieci, Sole24Ore e Unità. Pochino, ma meglio dello zero assoluto presente su Il Messaggero, Libero e Il Manifesto. In totale, le firme in rosa sono solo il 13 per cento del totale. Un passo avanti rispetto allo scorso anno, quando rappresentavano solo il 6 per cento.
«Nel giornalismo, dobbiamo fare un mea culpa», interviene Maria Laura Rodotà. «Ci siamo accontentate per anni di occuparci di cose più frivole o dedicarci al lavoro da scrivania. Era più facile e pagato bene, ammettiamolo». Adesso, però, con una crescente femminilizzazione della professione, le donne vogliono di più. Direttori donna, capiredattore, inviate. In Italia sono ancora pochissime o inesistenti.
Tre delle più comuni difficoltà le spiega proprio la Tagliabue, la più giovane del gruppo. «Quando cominci si chiedono di chi sei figlia, moglie o amante. Non esistono meritocrazia e valutazione delle abilità. Viene pagata più la disponibilità, ai limiti con il servilismo, che l’esperienza».
E se anche Laura Laurenzi, inviata del secondo quotidiano nazionale, racconta di telefonate ricevute dalle colleghe donne del tenore «Il bambino ha la febbre, cosa devo fare? Che detersivo metto in lavatrice? Ecc.», le speranze sembrano svanire.
Eppure, secondo Melloni, la coscienza di genere è un problema che poche donne si pongono. E, forse, loro stesse qualche responsabilità ce l’hanno. «Io trovo noiose le donne che scrivono di donne, ci vorrebbe più ironia», interviene la Rodotà, «Ci siamo rotti la testa per un anno con Papi e Noemi, Veronica, le zoccole; ma noi che facciamo? Basterebbero gesti quotidiani, come dire al capo “Quella battuta sarebbe così gentile da non ripeterla una seconda volta?”». E, secondo la Rodotà, dovrebbero essere proprio loro, le redattrici affermate, ad aprire la strada alle più giovani. «Noi non abbiamo tantissimo da perdere», continua, «Ma se una ragazza entra in redazione ed è carina, ci si chiede a chi l’ha data, a chi la da, a chi la darà».
Il dibattito, però, sembra languire. Si discute di welfare, capi donne cattive come quelli uomini o forse no, giovani stagisti da portare a cena. Tanto per bilanciare. A sparigliare le carte ci pensa la Laurenzi. «Tiziana, quando tornerai a condurre il tg delle 20?» La domanda alla Ferrario si riferisce alla recente decisione del suo direttore, Augusto Minzolini, di sostituire alcuni volti noti della rete, tra cui lei. Ed è qui che parte lo spettacolo.
Melloni si irrita, «La domanda non è pertinente, e comunque è normale in una redazione che esistano dei rapporti di forza». La vena della tempia di Tiziana Ferrario, mostrata dall’implacabile maxischermo, non lascia spazio a dubbi. E’ arrabbiata. «Tengo a precisare che quella che mi è stata fatta è una porcata». Melloni annaspa. «Visto che mi hai toccato sul personale, devo rispondere che nel servizio pubblico, certi rapporti di forza non dovrebbero esistere», conclude la Ferrario. Applausi tra il pubblico, sorrisi delle colleghe, nervosismo del moderatore.
Da lì, è tutta una provocazione. «Siete davvero convinte che una totale uguaglianza sia davvero quello che vuole la maggioranza della donne?», rilancia Melloni. La riposta è unanime: «Intanto raggiungiamo il traguardo, poi vediamo».
Un finale che non soddisfa il pubblico. All’uscita dalla tavola rotonda, una signora avvicina bellicosa Maria Laura Rodotà: «Io la seguo sempre, la leggo e la stimo molto. Ma una cosa me la deve dire: perché non gli ha tirato due ceffoni?». La vittima, chiaramente, doveva essere Melloni. Alcune domande alla Rodotà, allora, diventano d’obbligo.
La signora proponeva un modo più aggressivo, rispetto alle sue battute per mettere a posto un ipotetico capo. Cosa ne pensa?
«Che spesso non va bene, perché se reagisci aggressivamente con il tuo capo rischi conseguenze pesanti. Se smonti alcuni comportamenti, invece, forse alla lunga puoi averla vinta. Per questo dico che noi redattrici più difficili da cacciare dobbiamo rompere più le scatole rispetto a chi rischia di non vedersi rinnovare un contratto».
E le giovani precarie cosa possono fare?
«Trovare una via di mezzo e non scrivere di argomenti troppo femminili».
Abbiamo parlato di donne al potere nel giornalismo. Ancora troppo poche in Italia. Pensa che il loro atteggiamento nei confronti delle colleghe cambi una volta raggiunti ruoli importanti?
«A volte cambiano, a volte no. Come gli uomini».
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