Salvo Pogliese prova a dare una scossa a un dibattito pubblico piuttosto appiattito riunendo un parlamentino non-politico a Palazzo degli elefanti. Il dissesto del Comune di Catania dovrà essere l’ennesima prova di forza di una città, «di un popolo», abituato a rialzarsi dopo aver toccato il fondo. Non solo una faccenda per addetti ai lavori di politica e burocrazia, non solo un problema di stipendi che evaporano e debiti da onorare. «Nel momento delle difficoltà occorre dimostrare fierezza di essere catanesi», scandisce il sindaco dopo aver riunito associazioni, sindacati, cooperative in sala consiliare. Di politica se ne vede poca: la giunta è al completo, pochi consiglieri fra cui Manfredi Zammataro, Luca Sangiorgio, Carmelo Nicotra, il leader M5s Giovanni Grasso. Diserta in blocco il centrosinistra dell’ex sindaco Enzo Bianco, il vero convitato di pietra della serata ma anche dei giorni – trascorsi senza una sua presa di posizione pubblica – seguiti al doloroso 7 novembre, il giorno del fallimento di Catania.
Pogliese accantona il politically correct adottato fin dalla sua vittoria e prova a stanare l’ex rivale: «Mi sarei aspettato più sobrietà», dice riferendosi ai piccati post di Bianco su stipendi pagati puntualmente «quando c’era lui» e altri fendenti mollati durante l’agonia degli ultimi mesi. Cravatta verde leghista – e c’è chi la nota ricordando però che il fitto dialogo con il ministro Matteo Salvini e il sottosegretario Stefano Candiani alla fine non è bastato – e atteggiamento greve: il sindaco trasforma il suo banco in una metaforica «trincea» che non intende assolutamente mollare. «Chi pensa che possa dimettermi proprio adesso non ha capito nulla», è il sottotesto di un discorso ardito, che però non riscalda più di tanto una platea impaludata su perplessità e interrogativi ormai notori: che ne sarà di partecipate, servizi sociali, impiegati e così via?
L’amministrazione, di contro, si sta già attestando sulla linea delle rassicurazioni: sul piano tecnico è l’assessore al Bilancio Roberto Bonaccorsi a fare da pompiere, ricordando a chi chiede lumi che di rischi, certo, ce ne sono tanti ma andando avanti, con le procedure di dissesto, ci sono anche buone probabilità che il quadro si normalizzi. Nel frattempo il presidente del Consiglio Giuseppe Castiglione concede la parola a decine di rappresentanti: si va da Cgil, Cisl, Uil, Ugl fino a Confcooperative e la comunità di Sant’Egidio, rappresentata dall’ex candidato sindaco Emiliano Abramo. Tre minuti a testa. Qualcuno se la gioca con fair play, altri si spingono a ipotizzare esenzioni fiscali e altre misure emergenziali per aziende e coop «colpite dallo tsunami del fallimento», altri ancora invocano il ritornello della «necessaria ricerca dei responsabili».
Non è questo il momento, si sussurra nei corridoi, anche perché in fondo la Corte dei conti lo indica chiaramente. Quando, ad esempio, calibra il grosso delle accuse che hanno reso inevitabile il dissesto su tre bilanci dell’era Bianco (2014, 2015 e 2016). Ma occorre ormai andare oltre. In fondo il default è soprattutto l’occasione di ricominciare daccapo, e la giunta Pogliese ha ormai fatto propria quest’idea che era, però, poco opportuno esplicitare mentre «si tentava di tutto per salvare Catania». «Il dissesto traccia una linea di demarcazione nitida fra passato e futuro», sottolinea il sindaco che non apprezza «disertori e pavidi». Una nuova battaglia catanese è iniziata.
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