C’è un altro Sindaco di Firenze, prima di Matteo Renzi, che ha rivestito la carica di Presidente del Consiglio della Repubblica italiana. Prima di lui, la storia racconta di Bettino Ricasoli. Ma, bisogna tornare indietro negli anni, fino al 1861, all’alba dell’unità d’Italia. Eppure, come in una sorta di incantesimo fatto di corsi e ricorsi storici, non mancano le analogie. E per il Sud Italia non è buona notizia…
A tracciare un gradevolissimo affresco sulla figura di questi due fiorentini arrivati a Palazzo Chigi, è Gigi Di Fiore, con un articolo dal titolo ‘Renzi e Ricasoli e il Sud’, pubblicato sul sito ilmattino.it, che vi riproponiamo:
Renzi, Ricasoli e il Sud
di Gigi Di Fiore
Matteo Renzi è premier. Il primo precedente – illustre secondo alcuni, poco encomiabile secondo altri – di un fiorentino a capo del governo italiano risale agli albori dell’unità. Arriviamo addirittura al giugno del 1861, al primo successore del conte di Cavour morto pochi giorni prima. Arriviamo a Bettino Ricasoli, il barone proprietario terriero e produttore di vini. Un imprenditore a capo del governo.
Corsi e ricorsi storici, a volte è illuminante rileggere discorsi e dibattiti, anche distanti di 153 anni. Ricasoli venne convocato da Vittorio Emanuele II sabato 9 giugno. Il mercoledì successivo era già alla Camera dei deputati, a presentare la sua squadra di governo.
Corsi e ricorsi di un’Italia in fasce, con Torino capitale, ottava legislatura (di conta sabauda) e Parlamento a Palazzo Carignano. Ricasoli non era certo un esempio di gioventù. Quando divenne primo ministro aveva già 52 anni. Come per Renzi, però, nel suo curriculum c’era anche la carica di sindaco di Firenze, che aveva ricoperto per undici mesi nel 1848 a 39 anni. Gli anni attuali di Renzi.
Allora, per dar forza al governo, non si usavano i bilancini per equlibrismi politici tra partiti di maggioranza. Il Parlamento era saldamente in mano della destra cavouriana. Furono, quindi, solo sette i ministri. Quello della Guerra se lo riservava, agli inizi, il premier. Due erano i meridionali, proprio come nel governo attuale. C’era il napoletano Francesco De Sanctis all’Istruzione pubblica. E c’era anche il siciliano (di Aidone in provincia di Caltanissetta) Filippo Cordova all’Agricoltura e commercio. Meridionali trapiantati a Torino da tempo. I famosi esuli, che avevano portato la loro idea di Sud in Piemonte.
Corsi e ricorsi e, in un discorso di programma ridotto all’essenziale (come allora si usava), Ricasoli promise continuità con il governo Cavour. E annunciò investimenti in due settori;: armamenti (“apparecchi militari”) e opere pubbliche. Ma precisò, e sembra di tornare all’oggi: “Le somme necessarie non possono raccogliersi colle imposte”. Chiese, invece, il voto su una legge per ottenere un prestito pubblico.
Ma la grande preoccupazione, guarda un po’ anche allora, era far quadrare i conti di bilancio. Disse Ricasoli nel suo discorso: “Nostro scopo deve essere di provvedere ai modi di ristabilire l’equilibrio tra le entrate e le spese; quest’equilibrio è la base principale del credito degli Stati”.
Come, anche 153 anni fa? Così pare. Le ricette? Anche qui non si scopriva l’acqua calda: “Savie e graduate economie nella pubblica amministrazione” (tagli, sic!) e “aumentare pubbliche imposte, egualmente ripartite” (tasse, sic!). E poi, annunci di unificazione di leggi, rispetto dello Statuto. Annunci, appunto, che avrebbero fatto i conti con la guerra del brigantaggio, la legge Pica, i disequilibri di investimenti tra centro-nord e Mezzogiorno in fiamme.
Il barone di ferro rimase in carica fino al 3 marzo 1862. Nove mesi appena. Uno in meno del governo Letta. Ma erano altri tempi, altra Italia con italiani tutti estranei tra loro. Ricasoli aveva davanti un cammino tutto in salita. Era lui a capo del governo, il giorno dell’eccidio di Pontelandolfo. Altri tempi, altre difficoltà. Il Mezzogiorno era un problema incandescente. Oggi sembra essere diventato un fastidio. (tratto dal blog di Ricasoli su ilmattino.it)
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