Dai dati pubblicati sul portale Epicentro, dell'Istituto superiore di sanità, emerge una flessione delle somministrazioni negli ultimi anni. Padri e madri siciliani rispondono meno rispetto alla media nazionale. «Circolano troppe notizie divulgate senza alcune prove scientifiche», commenta il docente Francesco Vitale
Cresce numero di genitori che non vaccinano figli Esperto: «Certe malattie sono ancora pericolose»
Cresce il numero di padri e madri siciliani che scelgono di non vaccinare i propri figli. È quanto emerge dai dati presenti su Epicentro, il portale dell’epidemiologia per la sanità pubblica, curato dall’Istituto superiore di sanità (Iss), dove si nota una netta flessione tra il 2013 e il 2014 nella somministrazione dei vaccini. Il calo maggiore si ha per quanto riguarda il morbillo, la parotite, la varicella e la rosolia: infatti, dall’88,9 per cento del 2013 di vaccini da effettuare nei primi due anni di età si passa all’84 per cento del 2014. Il dato siciliano, inoltre, si trova al di sotto della media nazionale che si attesta all’86,7 per cento. L’Isola, in tal senso, è tra le regioni in cui ci si vaccina meno, anche se c’è chi fa peggio, specialmente nell’area Nord-Est dell’Italia.
Le cose per la Sicilia non vanno meglio se si guarda alle altre patologie. Come nel caso della poliomelite per la quale nel 2014 è stato vaccinato il 93,4 per cento dei bambini, mentre l’anno precedente la percentuale era stata del 95,3. In entrambi i casi, inoltre, si tratta di cifre inferiori a quanto registrato dieci anni prima: nel 2004, infatti, i vaccini contro la polio erano stati somministrati al 95,6 per cento degli interessati. La medesima considerazione, con percentuali uguali e ribasso rispetto alla media nazionale (almeno per quanto riguarda il 2014), può essere fatta per la difterite, il tetano, la pertosse, l’epatite B e l’emophilus influenzale tipo B.
Il tema vaccini da diversi anni è al centro di un dibattito, che via via – con le possibilità offerte dal web – ha interessato non solo gli specialisti ma anche le persone comuni. Al centro della questione le presunte connessioni tra la somministrazione del vaccino – come nel caso di quello contro il morbillo – e la comparsa di malattie, l’autismo su tutte. A riguardo, però, la comunità scientifica, mancando dati sufficienti, nega il legame. Nonostante ciò, a giugno una sentenza del Tar ha condannato il ministero della Salute a un risarcimento nei confronti di un ragazzo originario di Agrigento, che nel 2000 avrebbe sviluppato l’autismo dopo essere stato sottoposto al vaccino tetravalente, ovvero quello contro la difterite, il tetano, la pertosse e l’epatite B. Ancora più di recente a far discutere è stato il caso della morte di un bambino a Palagonia, in provincia di Catania. Il piccolo è deceduto dopo aver ricevuto il vaccino contro la meningite. Spetta ai magistrati stabilire se esiste una connessione tra i due eventi.
Chi mette in guardia da una sottovalutazione dei rischi connessi alla decisione di evitare i vaccini è Francesco Vitale, docente dell’Università di Palermo e componente della Società italiana di igiene, medicina preventiva e sanità pubblica (Sltl). «I motivi all’origine di questo calo sono molti – spiega -. Dalla condivisione sempre più massiccia di notizie non suffragate da prove scientifiche, alla ritrosia delle persone a sottoporsi alla medicina quando non si hanno sintomi della malattia. Al contempo ritengo che si è persa fiducia in generale nei confronti della sanità pubblica e dei consigli che dà».
Tali atteggiamenti, però, potrebbero causare la ricomparsa di malattie che potrebbero considerarsi definitivamente debellate. «Recentemente in Spagna c’è stato un caso mortale di difterite e aumentano le epidemie di morbillo. Si tratta di malattie che, prese da adulti, possono dare complicazioni più importanti rispetto a quando si è piccoli». Sui pronunciamenti della magistratura riguardo alle connessioni con l’autismo, Vitale è chiaro: «I magistrati spesso si affidano a consulenti di parte che si limitano a far notare connessioni temporali, senza approfondire i singoli casi e ciò porta a sentenze che non si poggiano su basi scientifiche», conclude.