«Sono passati vent’anni eppure io sono ancora qua». Sdrammatizza Leonardo Guarnotta. Quelle rivelazioni del collaboratore di giustizia nisseno Pietro Riggio che riguardano anche lui non lo preoccupano affatto, anzi. L’ex giudice istruttore e presidente del tribunale di Palermo ormai in pensione dal 2015 – uno di quelli che insieme a Peppe Di Lello, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino istruì il Maxiprocesso -, sorride di fronte all’antico piano di Cosa nostra per ucciderlo. A raccontare queste indiscrezioni, insieme a molte altre, è stato oltre un anno fa il pentito nisseno, che collabora coi magistrati da undici anni e che solo ora ha ritenuto che i tempi fossero abbastanza maturi per poter raccontare determinati fatti senza mettere in pericolo se stesso e la sua famiglia.
«Si parla comunque di un fatto molto lontano – torna a dire Guarnotta -. E bisogna vedere l’attendibilità di questo pentito, che dice di aver saputo da un ex poliziotto di questo progetto omicidiario nei miei confronti. Io allora non ero nemmeno più un giudice istruttore, quale potrebbe essere stato il pericolo da me rappresentato e per cui avrebbero voluto ammazzarmi?», si chiede oggi. Secondo lui sono tanti gli aspetti ancora molto ambigui dei racconti riportati da Riggio. Specie quelli che riguardano, appunto, l’ex poliziotto tirato in ballo davanti ai magistrati, che a suo dire avrebbe preso parte nell’organizzazione dell’attentato di Capaci del 23 maggio ’92, piazzando addirittura l’esplosivo sotto l’autostrada. Fatti, questo e molti altri, rispetto ai quali lo stesso, nei giorni scorsi, ha dichiarato fermamente la sua totale estraneità.
«Anche fosse stato vero, quindi ammesso ci fosse davvero stato un piano, un progetto per uccidermi, sono comunque passati vent’anni e io sono ancora qua, quindi?», ribadisce Guarnotta. Ma anche il pensiero che quel piano possa effettivamente essere esistito non sembra turbarlo affatto. «Facendo parte di quel gruppo si sapeva che si correvano pericoli come questi». Omicidi, attentati, stragi, era tutto messo in conto insomma da quel pool antimafia che lavorava per preparare il primo grande processo alla mafia, quuello che ha di fatto portato alla sbarra oltre centinaia tra padrini, boss, gregari e sodali. «Io questo Pietro Riggio, tra l’altro, nemmeno lo conosco. Non l’ho mai incrociato, non l’ho mai sentito nemmeno nominare». Guarnotta già dal ’95 non era più giudice istruttore e si occupava di altri processi, ma «sempre di mafia, è vero, ma diversi – sottolinea lui oggi -, nelle vesti di presidente della seconda sezione penale e della quarta sezione di Assise, sempre a Palermo».
Aspetta, però, che ogni dettaglio delle rivelazioni di Riggio venga verificato. Un tempo che i magistrati sembrano essersi presi, considerando che le recenti dichiarazioni del collaboratore risalgono in realtà all’estate scorsa e solo adesso sono entrate, in parte, nel processo d’appello Capaci bis che si celebra a Caltanissetta. «Da un anno a questa parte mi hanno anche tolto il servizio di tutela – rivela poi Guarnotta -, ne sono contento, significa che ad oggi non ci sono più elementi di pericolo, posso viaggiare liberamente. Se ci dovessero ripensare…bè, pazienza, in fondo tra poco faccio 80 anni, ho vissuto tanto», scherza ancora l’ex presidente ripensando al presunto progetto per farlo fuori.
«Chiarire la credibilità di Riggio non è importante ai fini di conoscere i dettagli di quel famoso piano per uccidermi, non se n’è fatto più niente e non penso che oggi debba temerne ancora ulteriori conseguenze. Ma per capire piuttosto qualcosa di più indirettamente della credibilità di quell’ex poliziotto tirato in ballo per la strage di Capaci – spiega Guarnotta -. Se Riggio avesse detto una menzogna riguardo al mio presunto attentato, è probabile che lo abbia fatto anche per altri fatti su cui ha deposto, no? Aspettiamo, magari mi arriva una telefonata di avvertimento, chi lo sa», e sorride.
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