Controlli campo rom, associazioni denunciano «Quattro donne separate dalle loro famiglie»

«Quattro donne deportate da Palermo e separate dalle loro famiglie. È questa la sicurezza che vogliamo?». Il blitz di ieri al campo rom della Favorita effettuato dai carabinieri della Compagnia di San Lorenzo non smette di suscitare polemiche. Dal un lato ci sono le forze dell’ordine che oggi hanno reso noto il bilancio dell’operazione, tra perquisizioni e denunce. Dall’altro diverse associazioni cittadine si chiedono il perché di un intervento così massiccio che ha coinvolto il dodicesimo Battaglione Sicilia, le unità cinofile e un elicottero del Nec. Sul posto anche vigili del fuoco e polizia municipale. E, soprattutto, vogliono fare luce sulle storie di quattro donne risultate clandestine e per le quali sono state avviate le procedure di rimpatrio.

Durante il blitz di ieri sono state identificate 73 persone ed effettuate 45 perquisizioni domiciliari durante le quali i militari hanno individuato Sebastian Dibrani, 43 enne di origini slave, sul quale pendeva un ordine di carcerazione emesso dalla procura di Messina nel 2010. L’uomo ora si trova al Pagliarelli, dove dovrà scontare una pena di otto mesi. Inoltre 69 persone sono state denunciate per invasione di terreni. In tutto sono state dodici le auto sequestrate, perché prive di assicurazione. L’Asp infine ha rilevato precarie condizioni igienico sanitarie. Un trentenne serbo è stato segnalato alla Prefettura quale assuntore di sostanze stupefacenti

Circa venti persone, sprovviste di documenti, sono state identificate con la rilevazione di impronte digitali. Tra queste, quattro donne sono risultate clandestine. «Non sappiamo quali siano le cause vere dell’imponente irruzione delle forze armate, all’alba del 17 febbraio, al campo della Favorita di Palermo, dove vivono da decenni alcune famiglie Rom. Ne abbiamo visto però le conseguenze dirette in termini di violenza sulle vite delle persone. In questo caso specifico quattro donne sono state deportate a Ponte Galeria, Roma, presso il Centro di identificazione ed espulsione», scrivono in un comunicato congiunto Arci Palermo, Asgi – Sezione Sicilia, Associazione Diritti e frontiere (Adif), Clinica Legale per i Diritti Umani (Cledu), Forum Antirazzista Palermitano.

«Vogliamo che si sappia chi sono queste persone – continuano – perché si capisca l’ingiustizia che stanno subendo e contro la quale ci opporremo, a partire dall’utilizzo di tutte le vie legali e poi mobilitando ogni forza disponibile per questa battaglia di minima civiltà. D. e S. sono due giovani ragazze figlie di un anziano rifugiato dell’ex Jugoslavia amputato di una gamba e gravemente malato, di cui si prendevano cura. Nate e cresciute in Italia assistevano loro padre. Erano state regolari fino al diciottesimo anno di vita, quando, per l’assurdità della legge avevano perso ogni diritto. Erano seguite dalla Clinica legale dell’Università di Palermo». M., si legge ancora nel comunicato, è una giovane mamma che ha una bimba di undici anni che frequenta regolarmente la quinta elementare. Ieri la bimba e il papà non erano al campo, e M. «è stata portata via senza neanche poterla abbracciare. Aveva chiesto al Tribunale dei minori di riconoscere il diritto a restare in Italia nel superiore interesse di sua figlia».

S. invece è una donna anziana «molto malata, che non può assolutamente sopportare la detenzione in un Cie per motivi di salute – prosegue la nota – Ha cinque figli di cui uno minorenne. Stamattina abbiamo potuto incontrarle al commissariato dei carabinieri prima che venissero imbarcate per Roma. L’unica cosa che ci è stata promessa è che S. avrebbe potuto prendere medicinali e documenti medici prima di partire. Questo il risultato della roboante caccia condotta a Palermo contro cittadini e cittadine che sono parte di questa città da decenni».

Poi una considerazione sulla situazione nel campo: «Circa 150 persone, tra cui tantissimi minori, sono costrette a vivere in quel posto orrendo che è il campo della Favorita – ripercorre il comunicato – perché non riescono a regolarizzarsi in assenza di un passaporto (e come potrebbero averne uno se vengono in maggior parte da uno Stato che non esiste più?); perché il pregiudizio contro di loro rende anche Palermo una città incapace di accoglierle come cittadini e cittadine (nonostante siano qui da sempre); perché anche quando il Tribunale per i minorenni intima alla questura di rilasciare un permesso di soggiorno alle famiglie nel superiore interesse dei bambini questo non avviene. Non lasceremo sole queste donne – conclude il comunicato – e invitiamo tutte le realtà e le persone alla mobilitazione per loro, in nome dei diritti e della dignità di ognuno e ognuna, e del mondo diverso in cui vorremmo vivere».

Aggiornamento

«Quanto avvenuto al campo Rom di Palermo dimostra la inadeguatezza della normativa italiana che, di fatto, autorizza, anzi incentiva, la deportazione di cittadini che non hanno compiuto alcun reato, ma sono soltanto “colpevoli” di non avere diritti di cittadinanza». Questo il commento del sindaco Leoluca Orlando sul blitz nel campo. 

Il sindaco conferma come le quattro persone che sono state infatti trasferite al CIE di Roma, sono nate e cresciute a Palermo o vivono a Palermo da oltre venti anni, dopo la fuga dalla guerra nella ex Jugoslavia. Sono, quindi, «vittime della assenza di una legge sullo Ius soli e di una inadeguata protezione nazionale e internazionale».

Il primo cittadino quindi ha assicurato che, appurato come tutti avessero già in corso le procedure per il rinnovo del permesso di soggiorno, l’Amministrazione comunale prenderà contatto con i loro legali e sosterrà ogni iniziativa istituzionale che «permetta a questi cittadini, che consideriamo Palermitani, di tornare presto nella nostra e nella loro città».


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