«Il consorzio di bonifica nove di Catania? È in uno stato disastroso». Non usa giri di parole il sindacalista della Fai Cisl Ernesto Abate per descrive lo stato di salute dell’ente regionale nato nel 1997, affetto da carenze di organico, taglio dei fondi e una condotta piena di criticità ormai vecchia cinquant’anni. I lavoratori, che oggi si sono riuniti davanti alla sede di via Centuripe, sono in stato di agitazione ormai da settimane e adesso bisogna fare i conti con l’annunciata riforma a livello regionale. Gli organismi, che si occupano dello sviluppo dell’agricoltura e dell’irrigazione nell’Isola, dovrebbero passare dagli attuali undici a due. «Si tratta di un atto di forza portato avanti soltanto a livello politico per dire che qualcosa è stato fatto», spiega Abate giustificando la sua considerazione: «Non si può pensare di dividere la Sicilia in due parti quando in realtà sarebbero almeno quattro i bacini idrografici a cui bisognerebbe fare riferimento». Nei meandri della burocrazia rientrano anche una gestione commissariale, che a Catania prosegue ormai da 21 anni, e un drastico taglio ai finanziamenti regionali.
Dei 54 milioni di euro previsti in passato si è scesi a una cifra che supera di poco i 35, mentre per Catania si passa da otto a circa la metà. L’ente dal canto suo si adegua con un aumento dei canoni dell’acqua per gli agricoltori. Il segno più si aggira a 200 euro in più in bolletta per ogni ettaro di terreno irrigato. Proprio quello della superficie è uno dei nodi centrali. Il consorzio etneo copre l’utenza di circa 12mila persone, ovvero 40mila famiglie. Estendendo le sue funzioni in quattro province: da Catania a Enna passando per Messina e Siracusa, con 20 Comuni coinvolti per una zona grande 365mila ettari. Le condutture però riescono a irrigarne appena 52mila con 16mila pienamente funzionati. «Il sistema è ridotto all’osso – incalza Abate -, perché a mancare sono i lavoratori che possono svolgere le loro funzioni».
Una delle criticità è proprio quella dell’inquadramento dei dipendenti. Il consorzio tra le sue fila conta 66 unità con contratti a tempo indeterminato e 123 stagionali. «Negli anni tra i due gruppi si era creata una forte sinergia ma la Regione ha deciso di tagliare le giornate diminuendole da 168 a 51». A mancare sono ad esempio coloro che utilizzano le proprie mani per riparare pozzi o gestire le pompe di sollevamento dell’acqua. Senza gli addetti ai lavori ci sono impianti bloccati e parzialmente fuori uso, come quello di Nuova sigona a Lentini, che serve circa 8mila ettari di terreno nella piana di Catania: «Una struttura con tre pompe, di cui due guaste e una che non può essere attivata in maniera automatica». Numeri alla mano ogni operaio del consorzio è chiamato a coprire con il suo lavoro una zona compresa tra i 1500 e i 3000 ettari.
A risentire di questa situazione è anche il servizio. Nella stagione corrente i rubinetti sono stati aperti con più di una settimane di ritardo rispetto all’apertura della stagione irrigua. «Fino a dieci anni fa si garantiva da febbraio a ottobre mentre adesso a stendo riusciamo a coprire da giugno a settembre». La Regione dal canto suo non sembra però intenzionata a fare passi indietro e per riuscire a coprire i lavori su tutta la rete regionale servirebbe una cifra che supera i 150 milioni di euro. «Vogliamo il recupero dei servizi funzionali – conclude Abate – riuscendo a fare sentire la pressione di Catania sul sistema regionale, essendo la provincia con l’area più vasta ma che è pure sotto organico».
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