Eletto nel gruppo con 1296 voti, a metà mandato cambia casacca. Per il momento il consigliere Maurizio Mirenda confluisce al gruppo Misto ma non è escluso che la sua migrazione politica non finisca qua. Duro il commento del movimento dal quale fuoriesce: «I suoi nuovi padroni di casa tengano mano al portafogli»
Consiglio, Maurizio Mirenda lascia Grande Catania Il partito: «Voleva finanziamenti per i suoi patronati»
«Da stasera non faccio più parte di
Grande Catania ma aderisco al gruppo Misto». L’annuncio arriva dal consigliere comunale Maurizio Mirenda in occasione dell’ultima seduta del senato cittadino. La comunicazione è condita «da un grande rammarico soprattutto nei confronti del mio presidente Lombardo (Raffaele, ndr) e dei colleghi consiglieri che stimo molto ma non condivido più la linea politica del partito», precisa. I componenti dell’Aula si guardano negli occhi cercando di capire quali siano i motivi che stanno alla base della decisione di Mirenda, che appare ai più inaspettata.
«Una scelta non improvvisa che è frutto di un’attenta valutazione», commenta Mirenda. «Lascio la coalizione ma resto fermo nella mia collocazione politica e il mio rappresenta un avvicinamento sempre più attento a quei valori politici e umani in cui ho sempre creduto. Ringrazio i miei vecchi colleghi per aver appoggiato le battaglie intraprese per il bene della città», prosegue in una nota ufficiale. «La politica dell’attuale sindaco non risponde affatto a quel requisito», conclude. Tra i componenti di Palazzo degli elefanti si iniziano a susseguire voci di corridoio sul futuro politico del collega.
Qualcuno già parla di un suo presunto avvicinamento al gruppo di Catania futura. Partito, quest’ultimo, che si rifà a livello regionale al deputato dell’Ars Nicola D’Agostino e che conta tra i suoi ispiratori Nico Torrisi, vicepresidente nazionale di Federalaberghi ed ex assessore della giunta del governatore Rosario Crocetta. Ma fonti vicine a Catania futura smentiscono l’arrivo di Mirenda. Dura nel frattempo la replica del coordinamento di Grande Catania, il cui capogruppo a Palazzo degli elefanti Giuseppe Castiglione si definisce «sorpreso, considerato che non il collega Mirenda non mi aveva avvertito», afferma.
Dopo la confusione, però, arriva il momento della durezza. E il commento ufficiale del coordinamento politico del partito, arrivato via sms qualche ora dopo, non lascia spazi: «Prendiamo atto con sollievo della fuoriuscita del consigliere Mirenda». «Non poteva essere assecondata la sua pretesa di finanziare i suoi patronati. Ai suoi nuovi padroni di casa raccomandiamo: mano al portafogli», conclude la segreteria politica. Una nota pesante, che il gruppo consiliare Grande Catania non vuole commentare né condividere. «I miei colleghi in consiglio conoscono il mio percorso politico e dichiarazioni simili mi sembrano molto strane, a meno di non derivare da pressioni di qualche tipo – risponde Mirenda – Valuterò se agire per le vie legali». E continua: «Fino a oggi i miei patronati sono stati finanziati personalmente, se hanno i documenti diano prova del contrario, cosa che io farò. Peraltro, io non li chiamerei neanche patronati. Sono centri sociali di riferimento nei quartieri, a disposizione dei cittadini. Ho chiesto spesso una presenza nelle periferie, al di là della campagna elettorale – conclude Maurizio Mirenda – È chiaro che la politica è una spesa e non dev’essere sulle spalle di una sola persona».
Il politico, eletto in quota autonomista nel 2013, alle ultime elezioni amministrative ha raccolto 1296 preferenze, risultando il secondo più votato di Grande Catania. Il suo nome – accanto a quello di altri sette colleghi – qualche mese fa è finito nella relazione della commissione regionale Antimafia presieduta da Nello Musumeci per le presunte infiltrazioni di Cosa nostra nel Consiglio catanese. Mirenda, secondo la testimonianza dell’investigatore della squadra mobile Alessandro Drago, qualche settimana prima dell’apertura delle urne, avrebbe incontrato l’ex consigliere della prima municipalità – eletto in quota Mpa – Ernesto Privitera (indagato nel processo per voto di scambio a carico di Raffaele e Toti Lombardo) a casa di Nino Balsamo. Pregiudicato, quest’ultimo, detto Cicaledda e all’epoca dei fatti agli arresti domiciliari per riciclaggio, furto aggravato e associazione a delinquere. «Non ho nessun motivo di andare a cercare dei voti sbagliati», aveva replicato in quei giorni Mirenda.