Confiscato l’impero dell’imprenditore Sandro Monaco «Sedeva al tavolo di Siino sugli appalti pubblici»

Sette mesi fa i giudici del processo Iblis – la lunga indagine su mafia, politica e imprenditoria nel Catanese – lo avevano condannato a 12 anni di carcere per i suoi rapporti con la famiglia Santapaola-Ercolano. Adesso per l’imprenditore Sandro Monaco, arrestato a novembre del 2010, scatta la confisca dei beni: un impero fatto da 26 immobili, nove imprese e sei disponibilità finanziarie, per un valore complessivo di 22 milioni di euro. Tutto, secondo gli inquirenti, costruito grazie alla protezione e alla collaborazione con Cosa Nostra etnea. Sono stati i carabinieri del Ros e del comando provinciale di Catania a eseguire la confisca. 

Un imprenditore a disposizione. Così lo descrive il pentito Giuliano Chiavetta. «Monaco non era una vittima, ma un amico di Gesualdo La Rocca (uomo d’onore e nipote del boss Francesco La Rocca ndr) – racconta il collaboratore di giustizia – Un imprenditore vicino alla famiglia di Caltagirone». A parlare di lui è anche un calibro da novanta della mafia siciliana, quell‘Angelo Siino considerato il ministro dei Lavori pubblici di Cosa Nostra e poi pentitosi. Nelle sue dichiarazioni Siino ricorda che l’imprenditore era uno di quelli che avrebbe fatto parte negli anni 90 del tavolo della spartizione degli appalti pubblici nell’Isola. 

Sandro Monaco

Il successo di Monaco era dovuto anche alla connessione con l’ex rappresentante provinciale etneo Vincenzo Aiello che lo definiva come una persona che conosceva da oltre 30 anni, un suo «amico che gli stava alle spalle», che si era sempre comportata «in modo corretto», mandando somme di denaro anche in momenti in cui era in crisi economica. Monaco avrebbe partecipato alla distribuzione di lavori controllati, direttamente o indirettamente, dal clan a cui versava anche delle somme di denaro e permettendo ad imprese mafiose o a disposizione dell’associazione di partecipare a attività economiche. 

L’imprenditore si è sempre difeso definendosi una vittima. Ma a smentirlo, secondo i pubblici ministeri, sarebbero le sue stesse parole intercettate che dimostrerebbero la consapevolezza del ruolo che ricopriva. In una conversazione captata in carcere, il geologo Giovanni Barbagallo, condannato a dieci anni per associazione mafiosa con rito abbreviato, dice: «I nostri errori li stiamo pagando a caro prezzo». L’imprenditore replica: «Non sono errori, è il sistema che ti porta a… […] È dieci anni che lavoro, creando tele, rapporti…».

In altre intercettazioni risalenti al 1998, esponenti di spicco della famiglia La Rocca di Caltagirone parlano di Monaco come persona che doveva «farsi sentire» e che era in contatto come «amico». A tal proposito il pentito Chiavetta, durante il dibattimento del processo Iblis, ha mostrato ai magistrati un foglio con un appunto, contenuto nella carta delle imprese che lui stesso curava: «C’era scritto “Aldo La Rocca ha portato cinque milioni su dieci promessi da parte di Monaco”. Un regalo per i catanesi, anche poco rispetto ai lavori che Monaco faceva, ma era un modo per farci capire di non intrometterci perché era un amico».

Dalle indagini Iblis dei carabinieri del Ros, emergerebbe che Monaco ha continuato a mantenere stretti rapporti con Cosa Nostra sia di Enna che di Catania, versando somme di denaro. Inoltre era uno di quegli imprenditori che doveva partecipare, insieme a Vincenzo Aiello, ai lavori del parco tematico di Regalbuto. Prima del 2007 l’imprenditore ha subito dei danni nei suoi cantieri, che sono stati denunciati. L’ultimo caso, un escavatore bruciato nonostante il pagamento della messa a posto. «Questo – ha spiegato il pubblico ministero Antonino Fanara durante il processo – succedeva prima che arrivasse Aiello a gestire il tutto. Dopo non è successo più nulla». Tranne un episodio di intimidazione che lo stesso Monaco ha raccontato alla corte. «Ma le imprese non sono più le sue», rispose gelido il pm riferendosi al sequestro. Che oggi sfocia in una confisca di importanti dimensioni. 


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