Comunali Catania, il risorgimento secondo Giuseppe Lipera: «Ritorno ai cassonetti e un nuovo casino municipale»

Un mattatore che fa della sua veracità un punto di forza, anche in campagna elettorale. È Giuseppe Lipera, meglio conosciuto come Peppino, 67 anni, avvocato, cantante per passione, tra i sette in corsa a sindaco alle elezioni comunali di Catania. Storico radicale, si presenta con la sua lista civica definendosi al di sopra degli schieramenti locali. Continuano con Lipera – in ordine alfabetico, con l’eccezione di Vincenzo Drago che non ha risposto al nostro invito – le interviste di MeridioNews ai possibili nuovi primi cittadini etnei.
– Guarda o leggi le interviste agli altri candidati

Abbiamo dato appuntamento ai candidati nel loro posto preferito di Catania. Lei ha scelto piazza Mazzini, nel centro storico, come mai?
«Innanzitutto è una bella piazza, con i portici, la sua storia e i palazzi di fine Settecento. Poi tra la piazza e via Garibaldi abbiamo qui tutto il Risorgimento: noi vogliamo fare risorgere Catania, mi pare quindi perfetta. Ed è sempre animata di gente, non come in corso Italia, dove camminano gli chic man e non c’è questa simpatia».

Decisamente più verace. Come la sua scelta, che ha fatto molto discutere, di candidare Fabrizio Corona
«È un concittadino famoso che ha avuto una storia di sofferenza e, secondo me, solo chi soffre può aiutare i sofferenti, se n’è capace. Così mi è venuta quest’idea…».

Poi però stoppata da motivi giudiziari.
«Ancora non gli rilasciano il certificato elettorale e, quindi, non si poteva andare avanti».

Catania non sembra nel suo momento di maggiore splendore. Tra i tanti problemi, se dovesse scegliere il principale che eventualmente erediterebbe da sindaco, quale sarebbe?
«È antipatico ma lo devo dire: Salvo Pogliese è riuscito a fare rimpiangere Enzo Bianco che è tutto dire, considerato che lui ha abbattuto il ponte Gioeni creando un disastro. Ma in compenso ha fatto quella fontana da 800mila euro che tutti ammiriamo ogni mattina. A Catania non funziona nulla: il traffico, i marciapiedi, le strade bucate, la munnizza, intanto partirei da qui. Per poi dare spazio alla vocazione turistica di questa città: proprio in questa piazza si possono vedere passare tedeschi, americani, olandesi, svedesi… È bella Catania, e quindi bisogna intervenire per sistemare la città. Io posso garantire amore, impegno e passione, poi vediamo cosa accadrà».

Proviamo a capire anche le sue ricette. Due problemi principali che individuiamo, e che lei ha in parte anticipato, sono proprio il degrado – dalla spazzatura al traffico – e l’inciviltà dilagante. Come si affrontano questi fenomeni?
«Questo è un problema serio. Io ho 67 anni e se, all’età di vent’anni, fossi stato ibernato, oggi risvegliandomi sarei impazzito. Non solo per la tecnologia, tutta diversa, ma perché alcuni interventi legislativi hanno fatto un danno enorme, secondo me. Parto dalla legge del ’75 sul nuovo diritto di famiglia che ha abolito la gerarchia familiare. Poi la leva obbligatoria, con cui tutti questi ragazzi che almeno per un anno imparavano ad alzarsi a una certa ora, a dire buongiorno e buonasera, signorsì e signorno… È un problema di cultura e di educazione e lì si deve intervenire».

Un altro problema è il livello culturale della città, che una volta poteva farsi vanto anche della sua movida, vita culturale e scena musicale, elementi che hanno molto a che fare con il turismo. Lei su questo che idea ha?
«Io ho un’idea rivoluzionaria per il turismo: in Italia c’è il casino municipale ma chissà perché è a Sanremo, a Venezia e a Saint Vincent, altrove non esiste perché il gioco d’azzardo è vietato. Ma, se è vietato, dovrebbe esserlo ovunque. A Malta, qui dietro, un’isola più piccola della Sicilia, ci sono quattro casino. Quindi io voglio aprirne uno a Catania, perché può dare reddito al Comune e perché non tollero questa disuguaglianza nazionale».

Ma il gioco d’azzardo è un tema particolare, oggi è un problema importante per molte famiglie.
«Certo, e allora leviamoli ovunque però. Che poi le famiglie i soldi li perdono lo stesso nei Bingo, frequentati da vecchietti e pensionati eppure lì va benissimo giocare. Se guardate villa Manganelli, in corso Italia, è la fotocopia del casino di Sanremo: sarebbe un’attrazione turistica ad esempio per i croceristi. A me non pare una cattiva idea».

Lo giudicheranno i cittadini. Anzi, lei ha un’idea di chi sono i suoi elettori?
«Io sono convinto di essere voluto bene dalla gente del popolo. Non certo dalla Catania chic che vota certi partiti. Io, oltre a essermi laureato a villa Cerami mentre mio padre mi obbligava già a fare l’avvocato, mi sono laureato per la strada. A npve anni giocavo a pallone la sera in via Gabriele D’Annunzio, riuscite a immaginarlo? I miei compagni di giochi erano il ragazzo del macellaio, del fruttivendolo, del gommista. Poi ho frequentato le scuole pubbliche, eccetto prima e seconda media al Leonardo Da Vinci, dove è nato il mio anticlericalismo».

Questo è interessante: il rimpianto per la leva obbligatoria e la gerarchia familiare sembrano tracciare il profilo di un uomo di destra, ma anticlericale…
«E che c’entra la destra? Io mi ricordo che quando da bambino facevo qualche monelleria mio padre mi diceva “Io esercito la patria potestà”. Ora un padre può dire al massimo “Io esercito la responsabilità genitoriale”, ma per favore… Un po’ d’ordine e di disciplina ci vogliono».

Pensando a quanti non sono ancora convinti su chi votare, ci dice il suo programma elettorale in tre punti?
«Io penso a Catania come un grandissimo condominio che non sta funzionano e quindi bisogna innanzitutto rimetterlo in marcia. La manutenzione delle strade, i marciapiedi da cui io stesso sono caduto due volte, la raccolta della spazzatura che, per come è congegnata a Catania, non funziona. Se guardiamo a Como o a Lugano, è tutto diverso: da noi non si può neanche entrare a casa perché davanti ai portoni è pieno di sacchetti, uno schifo. Una volta c’erano i cassonetti, oggi c’è il problerma della differenziata, ma basta aumentarli e rivedere il sistema. E poi chi sbaglia va sanzionato».

Pensa però che i programmi e le proposte, in un clima elettorale dominato dai Caf e dall’astensionismo, possano bastare?
«Allora, per me ciascuno è libero di votare come di non farlo, però credo bisognerrebbe spiegare alla gente che non votando si viola un dovere morale. Bisogna votare perché altrimenti non si ha titolo per lamentarsi che le cose non funzionano. C’è però chi specula sulla gente in tutti i modi, per questo il mio motto è stato subito Fuori i mercanti dal tempio…».

Che per un anticlericale è curioso…
«Non ho detto però di non essere credente. Comunque l’ho poi cambiato in Fuori i mercenari dal tempio. Perché i problemi della città non sono ideologici. Quando sarò eletto deputato nazionale, ma nemmeno ci provo, allora parleremo di legalizzazione della droga, di questioni ideologiche nel posto delle ideologie».

Questa è quindi una prova generale?
«Assolutamente no».

Quanto sta costando la sua campagna elettorale e chi la finanzia?
«La gente, gli amici, abbiamo un bel salvadanaio in un contro corrente. Ognuno sta facendo la sua campagna elettorale, senza volantini o pubblicità in televisione, che mi sembrano cose stupide. Mi comprerò un paio di scarpe in più perché devo camminare per i quartieri, a cui dobbiamo prestare maggiore attenzione. Abbiamo delle enormi città nella città, prendiamo ad esempio Librino: i giornalai stanno chiudendo in tutta Italia per il problema del web, ma già venti o trent’anni fa, a Librino non c’era un’edicola. È normale con 70mila abitanti? Ecco tutto».


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