Durante le audizioni nel capoluogo aretuseo si è parlato del condizionamento delle realtà economiche e politiche. «I clan si spartiscono il territorio secondo un patto di non belligeranza. E il ritorno di Salvatore Giuliano non è un caso isolato», afferma il presidente Fava
Commissione Antimafia: a Siracusa clan federati «Infiltrazioni anche in appalti pubblici ed elezioni»
«Un patto di non belligeranza e una federazione per fare in modo che nulla sfugga al controllo del territorio». Così si sono organizzati i clan mafiosi del Siracusano stando alla ricostruzione emersa dalle audizioni della commissione parlamentare di inchiesta e di vigilanza sul fenomeno della mafia e della corruzione in Sicilia che questa mattina è andata in missione istituzionale nel capoluogo aretuseo. «Una divisione cristallizzata in settori e spartita fra la città, i Comuni limitrofi, la parte sud e la parte nord della provincia con le cosche locali – dichiara il presidente Claudio Fava – che gestiscono traffici e investimenti sul territorio senza forti antagonismi e mantenendo saldo lo storico legame con le famiglie catanesi, in particolare i Santapaola, i Cappello e gli Ercolano». In pratica, nessuno dei clan operanti nella provincia di Siracusa cerca di fare ombra agli altri e, tutti insieme, convivono più o meno pacificamente cercando di accontentare tutti nella soddisfazione delle esigenze criminali.
Dalle audizioni del prefetto Giuseppe Castaldo, della questora Gabriella Ioppolo, del comandante provinciale dei carabinieri Luigi Grasso, del comandante provinciale della guardia di finanza Antonino Spampinato, del dirigente della Dia Renato Panvino e del procuratore capo della Repubblica Francesco Paolo Giordano è emerso che «anche quando il capo del clan è detenuto, come nel caso dei Crapula ad Avola, le ramificazioni delle famiglie continuano ad agire sul territorio. Uno dei metodi più diffusi è costruire aziende apparentemente immacolate che cercano di entrare nei flussi di spesa pubblica più significativi: stiamo parlando – spiega Fava a MeridioNews – di appalti e subappalti specie sottosoglia (che non prevedono quindi gara d’appalto, ndr) che vengono ottenuti attraverso imprese compiacenti o intestate a prestanome, in particolare nel settore dello smaltimento dei rifiuti e dei servizi pubblici essenziali, ma – aggiunge – chi ha interesse economico criminale non snobba nulla».
Nel Siracusano si registra la presenza effettiva di alcune famiglie che continuano a condizionare le realtà economiche dei diversi territori. «A Pachino dopo 21 anni di detenzione è tornato sulla scena Salvatore Giuliano che riteneva di poter imporre con la propria azienda il controllo sostanziale di uno dei poli economici più significativi della provincia, quello ortofrutticolo». È di ieri l’indagine Araba Fenice che ha fatto luce sui meccanismi con cui il clan controllava i rapporti con i coltivatori e i rivenditori. «Non è un caso isolato – afferma Fava – per esempio, la famiglia Crapula ad Avola ha due aziende che hanno subito un’interdittiva».
Non solo infiltrazioni nel settore dell’economia, ma anche nella politica. «La famiglia Giuliano, infatti, riteneva di poter condizionare i processi elettorali, come accaduto a Pachino – ricorda il presidente delle commissione antimafia regionale – con l’inchiesta ancora in corso che aveva portato anche all’arresto del deputato Pippo Gennuso (per cui poi è caduta l’aggravante mafiosa, ndr). Il rischio di simili infiltrazioni mafiose esiste anche per altri territori, come Avola e Noto, in cui c’è una presenza visibile di organizzazioni che vorrebbero dettare le regole». Un segno di ottimismo, invece, in merito alle recenti elezioni nel capoluogo aretuseo: «Chi si è presentato nella corsa elettorale nonostante fosse gravato da procedimenti penali o altre vicende giudiziarie che non avrebbero dovuto permetterne la candidatura, in realtà, poi di voti ne ha presi pochi – sottolinea Fava – È importante continuare a creare gli anticorpi per evitare le contaminazioni».
Sugli atti intimidatori che si sono susseguiti nel capoluogo siracusano fra bombe carta e roghi contro attività commerciali «bisogna fare un lavoro serio e approfondito sul tessuto sociale perché – analizza Fava – sul territorio esistono otto associazioni antiracket ma non altrettante denunce. Questo è il sintomo di una scarsa disponibilità alla collaborazione e alla denuncia in una provincia in cui il ricorso a questi metodi criminali è antico e ancora frequente. Quella del Siracusano – conclude il presidente – non è una criminalità marginale, ma ha radici solide e consolidate».