«Raccolta degli agrumi sospesa in via precauzionale». L’ultimo ostacolo per il settore agricolo in ordine di tempo è la cenere vulcanica. Le minuscole particelle di minerale, espulse negli ultimi giorni durante l’attività dell’Etna, hanno ricoperto migliaia di piante di arance, mandarini e limoni. Trascorsi alcuni giorni dall’eruzione più imponente, i produttori hanno deciso di lasciare per 48 ore i frutti appesi agli alberi. «Il problema è uno strato impercettibile di cenere vulcanica, quasi invisibile all’occhio umano», spiega a MeridioNews Giovanni Pappalardo, presidente della federazione provinciale catanese di Coldiretti. Un velo sottile di polvere nera, «che si riesce ad avvertire con il passaggio delle dita e che può causare danni al raccolto. In particolare una volta che i frutti vengono ammucchiati all’interno delle cassette». «Si crea una bruciatura della parte esterna dell’agrume, causata dalla fuoriuscita dell’olio essenziale», spiega Corrado Vigo, presidente dell’ordine degli agronomi.
La cenere con la sua consistenza abrasiva e l’eventuale contatto potrebbe quindi mandare tutto in marcescenza. A confermare lo stop della raccolta è l’organizzazione Pannitteri & Co, che raccoglie 30 produttori della provincia di Catania per una fetta di territorio pari a circa 1600 ettari. La decisione di incrociare le braccia però non deve essere percepita come un allarme da bollino rosso. «In passato ci sono state eruzioni che hanno creato danni maggiori. In alcuni casi avevamo avuto le piante sommerse», affermano dall’azienda. Con la raccolta sospesa adesso ci sarà da capire se le particelle riusciranno ad andare via da sole. Una soluzione potrebbe arrivare dal cielo: «La speranza sono le piogge. L’acqua infatti lava gli alberi e di conseguenza toglie la cenere dai frutti».
A essere colpiti, oltre al Catanese, sono però principalmente i terreni della fascia ionica che da Giarre e Fiumefreddo portano a Messina e alla Calabria. «Anche in quest’ultima zona ci sono stati dei problemi – analizza il presidente di Coldiretti Pappalardo -. Non possiamo certamente fare un calcolo preciso ma dovrebbero esserci problemi alle coltivazioni». L’area maggiormente colpita è quella della piana di Gioia Tauro. In questo territorio, coltivato ad agrumi e ulivi, la cenere avrebbe bloccato il processo di maturazione di alcuni frutti mentre altri già maturi presenterebbero delle macchie nere che potrebbero indurre i consumatori a non acquistare, con un indubbio riflesso negativo sul mercato.
Senza andare troppo indietro nel tempo, già nel 2013 la caduta di materiale vulcanico aveva causato ingenti problemi al settore agricolo sempre nella zona ionica della Sicilia. In quell’anno le cronache stimavano cinque milioni di euro di danni, per una percentuale complessiva del 30 per cento dei raccolti intaccati. «Oggi possiamo dire che sulla piana di Catania non c’è stata questa ricaduta eclatante. Diverso il discorso per Giarre dove a essere colpiti sono stati clementine e limoni», spiega Corrado Vigo. Ridotte al lumicino sono invece le speranze per quanto riguarda le eventuali richieste di risarcimenti. «Per queste tipologie di problemi non c’è nella normativa un risarcimento previsto, lo abbiamo già chiesto nel 1985, nel 1994 e nel 2002 ma non abbiamo mai ottenuto nulla. Tra l’altro questa è una calamità non coperta da assicurazione nonostante ci siano tutte le caratteristiche per chiedere il rimborso con il fondo di solidarietà nazionale. Che, peraltro, è poco alimentato e si attiva con molto ritardo».
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