Dei ed eroi del barocco veneziano

Al Museo Civico di Castello Ursino a Catania sono esposti una trentina di dipinti di artisti come il Padovanino, Francesco Maffei, Luca Giordano, Pietro Liberi ma anche Giulio Carpioni e Sebastiano Ricci.

 

Dipinti provenienti dalla raccolta della Fondazione Querini Stampalia di Venezia, che da modo di  mettere a conoscenza i lati di una Serenissima tardo barocca che già subisce gli influssi di una decadenza tout-court proveniente dall’evolversi della società dell’epoca, tale da porla in forte contrasto con quelli che erano stati i precedenti splendori che l’avevano fatta primeggiare come una delle più fiorenti repubbliche marinare, e non solo, della storia.

 

Le stanze del castello, che da poco sono state rimesse a nuova vita , sono servite agli organizzatori della mostra da contenitore  per attirare turisti, mortali visitatori, appassionati d’arte e non che rappresentano quella variabile indispensabile per la buon riuscita di un valido evento artistico.

 

L’ unione, fra le due città, è programmaticamente incentrata su quei temi della stagione artistica del Barocco tanto cari ad entrambe. Atmosfera migliore infatti non poteva non essere quella catanese nell’ospitare contenuti tendenzialmente antitetici nelle loro rappresentazioni, come quelli della pittura veneziana fra la fine del ‘500 e l’inizio del ‘700, che si avvicinano di molto, sia temporalmente che espressivamente al contesto storico – culturale etneo.

 

Un filone figurativo percorso nell’esaltazione del mito come risposta ideale alla perdita di valori cui la società del sei-settecento non sembra in grado di sottrarsi. Non per niente il titolo della mostra è “Dei ed eroi del barocco veneziano” che si impone come riflesso all’importanza data  dai gusti dell’epoca al tema dell’allegoria e della favola antica, la prima come artificio retorico per scampare dalla morale comune e mascherarsi di fronte all’imminente scomparsa di figure rinascimentali, la seconda, invece, come interpretazione in chiave estetico-drammatica delle forme plastiche sulle quali permeano ora soggetti di puro divertimento, ora pittura di tipo profetico, tramite di filosofia neo-platonica ed ermetica. A tal proposito basti vedere i ritratti (di autore anonimo) quasi assenti delle Sibille a testimonianza della loro rappresentatività legata maggiormente al valore mediatico che queste hanno nella tradizione cristiana, portatrici del messaggio universale e divino. Mediaticità che si fa via via sempre più dispersiva dopo la perdita della bussola degli dei “meravigliosi”, specchio di bellezza ideale e presenza morale.

 

Affievolita la fiamma della rinascenza non si può fare altro che alimentarla dando priorità ed unicità ad esteticismi lampanti, forti della loro bellezza pienamente carnale presente in tutto il loro sfoggio drammaturgico. E’ ciò che ha ispirato Luca Giordano nel comporre il “S. Sebastiano”, un’opera in cui la passione del corpo rappresenta la via per quella dell’anima non prima di essere passati, come è avvenuto nella vita del santo, dall’ esperienza del martirio in grado di tener viva l’immagine dell’altro mondo.


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