Ferro 3 – La casa vuota

 Titolo originale: Binjip

 Nazione: Corea del sud

 Anno: 2004

 Genere: Drammatico

 Regia: Kim Ki-duk

 

 

 

 

 

 

Se apprezzate il buon cinema, quello dove le parole sono meri accessori ed un paesaggio o una fugace espressione riescono a comunicare mille volte di più, questo film vi lascerà estasiati (così come ha fatto con i selezionatori della 61ª Mostra del Cinema di Venezia che hanno fatto di tutto per includerlo in concorso, nonostante la pellicola fosse arrivata in ritardo). Ferro 3 – La casa vuota del regista sudcoreano Kim Ki-duk è veramente un’opera pregevole, per chi non ha ancora perso la voglia di andare al cinema per farsi lasciare qualcosa dentro, piuttosto che le orecchie rintronate dal dolby surround dell’ennesimo blockbuster americano dal budget a numerosi zeri.

 

La storia è semplice ma originale. Tae-suk è un normale ragazzo che consegna volantini porta a porta, ma che la sera, dopo aver finito il lavoro, non torna a casa e si introduce furtivamente nelle abitazioni che sa essere vuote, stabilendovisi per qualche giorno. Tae-suk non ruba o compie atti di vandalismo: semplicemente vive quelle case come se fosse lui il padrone. Lava la biancheria, aggiusta le cose rotte, dorme nei letti, si fotografa accanto alle foto dei legittimi proprietari. Vive le case e le vite degli altri, ma lo fa con estremo garbo e rispetto, quasi affezionandosi alle cose che per qualche giorno usa ed utilizza. Proprio durante uno dei suoi giri conosce Sun-hwa, una ragazza vittima di un marito autoritario e violento, che decide di seguirlo e intraprendere il suo stesso stile di vita, finché in un’occasione i due non verranno arrestati e, mentre Sun-hwa verrà riconsegnata al marito, Tae-suk sconterà una pena in cui affinerà la sua tecnica di estraniamento dal mondo circostante che lo porterà a ricongiungersi (davvero o solo immaginandolo?) con la donna con cui ha scoperto di avere un’affinità che trascende il piano materiale.

 

La forza del film non risiede, come ho accennato prima, nei dialoghi o in degli effetti particolari: i personaggi principali, infatti, non aprono bocca durante tutto il film, ma riescono comunque a trasmettere le sensazioni che provano grazie ad una magnifica espressività dei volti che rivela la loro essenza chiara come se posta di fronte ad uno specchio.

 

Se il rimando a Dolls di Takeshi Kitano è pressoché scontato, la pellicola mostra comunque una forte individualità che si estrinseca, ad esempio, in un’attenzione particolare, talvolta maniacale, per i colori e la fotografia e, soprattutto, nell’ambientazione, dove i personaggi si muovono in un contesto più attuale, cosa che contribuisce anche a creare un notevole effetto di straniamento rispetto al loro modo di vivere la vita.


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