Il principe toscano

Giovedì in aula A1 si è svolto l’incontro con il regista Jean Chamoun. Di origini libanesi e di grande sensibilità cinematografica, il secondo ospite de “I mestieri del cinema” ha presentato il suo documentario “Terra di donne” prodotto dalla moglie Mai Masri, regista anche lei.

Interlocutori privilegiati, oltre ad un buon numero di studenti, sono stati il professore Luciano Granozzi (che gentilmente ha tradotto dal francese all’italiano e viceversa), la scrittrice e giornalista Giovanna Nigi, e Antonio Guarnaccia, intervenuto a rappresentare Metacatania.

Subito prima della visione la redazione di Step1, grazie alla mediazione del professore Granozzi, ha rivolto un paio di domande al regista libanese.

Cosa pensa di una facoltà come la nostra dove lo studio delle lingue si fonde con le nuove tecnologie e con le arti??

“Sembra una esperienza interessante. Studiare le lingue è uno strumento per acquisire un’altra cultura; quando si conosce una nuova cultura si inizia ad avere la consapevolezza di altre società, di come funzionano. Se si è dei cineasti, se si fa cinema in società e in culture che non si conoscono, ma almeno si conosce la lingua, è più facile entrare in rapporto con la cultura popolare di questi posti, esprimendosi con le immagini, senza limitarsi ad una visione di facciata, superficiale ma riuscendo ad entrare nella realtà interna.

Quindi le lingue e le culture di altre società ci devono servire per comprendere queste altre società; in questo modo la comunicazione ci dà una conoscenza più ricca, soprattutto perchè in questo momento facciamo i conti con la politica mondiale basata sul globalismo; e il globalismo è contro le individualità culturale specifiche di ogni paese. Il globalismo cerca di cancellare le culture specifiche di ogni società.

Io vengo in Italia, sono affascinato dall’architettura, dalla cultura e dall’arte italiana in genere, e questo mi arricchisce come persona, mi riempe di rispetto per la società italiana. Vedo che dietro di essa c’è una storia. Questo è tutto il contrario  della politica globalista, il globalismo rende gli esseri umani semplici numeri, delle cifre, senza cogliere le differenze, senza colore. Ogni società ha i propri colori, le sono necessari.
La vostra esperienza di una università dove si coltivano diverse lingue, dovrebbe servire ad entrare nei dettagli, nella finezza, nella poesia di ogni società, e nei suoi modi di espressione. La conoscenza della lingua deve servire a cogliere le differenze che ci sono tra le varie società per riuscire a metterle in comunicazione tra di loro.”

Cos’è per lei comunicare?

Ti faccio un esempio: nel mio paese nel XVI secolo c’era un principe che era in contrasto con la dominazione ottomana di quel tempo, e contro il tentativo di egemonizzare l’intera regione mediorientale ha dovuto lottare per l’indipendenza. Poi è venuto in Toscana, stringendo diverse amicizie tra le famiglie di quella regione. E’ stato estremamente influenzato dall’architettura rinascimentale toscana, e quando è ritornato in Libano ha costruito dei palazzi che sono un miscuglio tra l’architettura rinascimentale e quella araba. Sono incantevoli, stupendi, raffinati e molto sobri. Per me questa è la vera comunicazione delle culture. Non basato sulla dominazione di una cultura sull’altra, ma su un criterio di scambio tra uguali.”

Come si sente a parlare di no-globalizzazione, di sopraffazione di culture e poi a doversi esprimere in francese e non nella sua lingua madre?

“Io sono un uomo molto pratico. Posso anche parlare in arabo, ma poi ho bisogno di qualcuno che mi traduca. Preferirei parlare nella mia lingua perchè mi esprimo meglio così, e perché l’adoro, ma rispetto le altre lingue. Per me il francese è un mezzo, un mezzo per esprimermi. Io mi considero indipendente dalla lingua francese. Sono antifrancese a livello della dominazione.

Mi piacciono molto le lingue, ho intenzione di imparare l’italiano per esempio, conosco un po’ l’inglese. Le lingue diventano degli strumenti a condizione di non avere la pretesa di un dominio culturale. Riuscire a prendere gli aspetti che ci sembrano positivi e utilizzarli nel nostro interesse, questo è quello che auspico. Non parlo a livello di individui, parlo a livello di società.”


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