Domenico Scaglione, un siciliano a Manhattan

“L’Economia risponde a qualcosa che non ha anima”; parole pesanti in un’aula di Economia, davanti un centinaio di studenti di Economia. Un giovane gli aveva appena domandato se possa esistere un capitalismo dal volto umano. Domenico Scaglione coinvolge con il suo fare mite e, contemporaneamente, schietto. “L’Economia serve solo a migliorare un’entità senza un’anima: l’azienda – ripete per chiarire il concetto – è necessario quindi, per non diventarne schiavi, costruire il proprio successo facendo valere i propri valori e la propria individualità”.

Emigrato giovanissimo dalla Sicilia verso gli Stati Uniti, oggi Scaglione è un famoso banchiere. Accompagnato dai professori Greco e La Rosa e dall’assessore Maimone, in rappresentanza dell’amministrazione comunale catanese, Scaglione ha voluto ripercorrere le principali tappe della sua carriera, attraversando i principali eventi che hanno caratterizzato gli ultimi decenni.

Ha raccontato quando, orfano di padre, lasciò Partinico per trovare insieme alla sua famiglia miglior fortuna a New York. Una storia di emigrazione e di allontanamento forzato dalle proprie radici come tante altre.  Ha raccontato quando da vicepresidente della Chase Manhattan Bank, la banca di Rockfeller una delle più importanti ed influenti del mondo, negli anni settanta durante la crisi economia decise di concedere crediti all’Italia, screditata in tutti gli ambienti economico finanziari. Oppure quando decise di comportarsi nella stessa maniera nei confronti del Portogallo appena uscito dalla dittatura.

Ha raccontato quando fu chiamato a partecipare alle prime conferenze ONU in Russia quando si stava concretizzando il passaggio da un’economia pianificata ad una capitalista, ricordando l’estrema povertà che si percepiva in quella che veniva ritenuta l’altra superpotenza mondiale. Ha raccontato quando nel 1992, ricevuto dal presidente Clinton, gli vennero affidati 30 milioni di dollari per risollevare l’economia albanese reduce dalla dittatura comunista. Fondando una banca in Albania che adesso conta diciassette succursali, ha cercato di creare un sistema bancario, strumento indispensabile per lo sviluppo economico. Con la collaborazione del Dipartimento di Stato Americano ha istituito un fondo di carità, attraverso il quale aiuta i bambini e i giovani albanesi avviandoli negli studi negli Stati Uniti. L’Albania è diventato il suo impegno principale e “oggi, dopo circa dieci anni, l’Albania ha effettivamente cambiato volto, riuscendo a superare le grosse difficoltà che ha incontrato”.

Il dibattito non poteva non considerare la Sicilia e la sua arretratezza economica. Il professore La Rosa, docente di Microeconomia, ha voluto ricordare come, nonostante le varie politiche economiche e i finanziamenti a pioggia di cui ha da sempre beneficiato, l’isola non sia ancora riuscita a colmare il gap economico con il resto d’Italia e d’Europa.
“Chi decide di investire in una determinata area – ricorda Scaglione – vuole essere preso per mano, accolto positivamente e pretende che la burocrazia non ostacoli le sue iniziative. E’ necessario che la Regione Sicilia si doti di un ente, come hanno fatto in Spagna e Portogallo, composto da gente davvero competente e con capacità decisionali, con il compito di attrarre investimenti garantendo all’imprenditore totale assistenza nei vari passaggi che caratterizzano il suo insediamento”.

Al termine della conferenza abbiamo voluto porre a Domenico Scaglione un paio di domande.

Dottor Scaglione, come ha reagito l’America alla stragi dell’Undici Settembre e come si è schierata l’opinione pubblica americana nei confronti dell’intervento in Iraq?
Gli americani sono molto prudenti, ma contemporaneamente molto forti. Hanno pianto le loro vittime, sgomenti e increduli, ma sin da subito hanno dato una mano cercando tutti di rendersi utili. L’intervento in Iraq è stato preceduto da un acceso dibattito che ha coinvolto pure l’ONU. E’ stato contraddistinto dal disastro delle informazioni errate sulle armi di distruzione di massa e ora, dopo tutto quello che è successo, ci si domanda se sia il caso o meno di abbandonare il campo. E’ necessario capire che chi commette attentati nei confronti dei propri concittadini, non lo fa né per motivi religiosi né per ribellarsi all’invasore, lo fa esclusivamente per conquistare un potere vacante. Secondo me, quindi, se vogliamo ricercare il bene del popolo iracheno e se vogliamo che gli vengano riconosciuti quei diritti umani che prima non gli venivano assicurati è necessario rimanere ancora un po’ di tempo.

In Europa ci si interroga di come fronteggiare Cina e India, emergenti potenze economiche.  Come gli Stati Uniti stanno affrontando le nuove sfide che provengono dall’Asia?
Premetto innanzitutto che ritengo un errore chiudere il commercio con la Cina o inasprire i dazi doganali. In verità cosa producono i cinesi? Producono beni ad un costo estremamente inferiore rispetto che negli USA o in Europa. Se si inizia a ragionare in termini di globalizzazione, la Cina può rappresentare una reale opportunità per l’economia mondiale. Secondo me, i paesi maggiormente industrializzati devono specializzare la propria produzione, lasciando alla Cina o all’India il vantaggio di certi settori, dotandole però dell’indispensabile know-how. Si potrebbe fare come già accade in America Latina con la produzione di determinati frutti stagionali richiesti in tutto il Mondo.

La parte finale della nostra conversazione è un invito particolare a tutti i giovani lettori: “scalate le vette del successo, perseguendo sempre i vostri sogni e cercando di cambiare sempre in meglio il Mondo e siate sempre orgogliosi della vostra sicilianità”.


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