La guerra dei crediti

Professor Pioletti, a che punto è l’iter per l’approvazione delle tabelle delle nuove classi di laurea?

Le nuove classi sono state approvate dalle Commissioni parlamentari e in atto sono alla Corte dei Conti. Fino a quando la Corte non dà il benestare non sono ufficiali, dal punto di vista formale. Noi abbiamo le classi che sono pervenute alle Commissioni parlamentari. Se la Corte non fa eccezioni dovrebbero essere quelle. Ciò detto, è da denunciare il fatto che il Ministero non abbia trasmesso alle Commissioni parlamentari le classi proposte dal tavolo tecnico unitamente al parere del Cun [Consiglio Universitario Nazionale, NdR]. Ciò è grave e ci riguarda direttamente perché per la ex classe 14, quella di comunicazione, il Cun aveva recepito la mia proposta che era alternativa a quella del tavolo tecnico, mentre il parere del Cun non è neanche pervenuto alle commissioni. Sicché, sulla base dei dati a mia conoscenza, la proposta della classe relativa a comunicazione è quella del tavolo tecnico. Ripeto che questa omissione è molto grave innanzi tutto nel metodo, perché il Cun è un organo consultivo di una certa importanza. E’ grave nei contenuti perché la proposta relativa alla classe 14 – che noi abbiamo criticato – disancora la comunicazione dall’area umanistica, cioè sottovaluta l’apporto di ambiti culturali che non siano solo quelli tecnologici, della comunicazione pubblica e delle aree psico-pedagogiche. A causa dell’omissione operata dal Ministero la proposta che ne è conseguita, se l’informazione di cui oggi godiamo è esatta, è del tutto regressiva. Dico ciò anche in riferimento alle interviste che Step1, molto positivamente, ha fatto a Morcellini e a Ortoleva.

 

Più che sui contenuti delle tabelle (cioè sulle materie), l’attenzione è tuttavia concentrata sui decreti applicativi.

Le tabelle sono accompagnate da una normativa relativa all’applicazione dei nuovi ordinamenti. Questa normativa prevede in particolare, da quello che abbiamo appreso dalla stampa, che nei passaggi all’interno dello stesso ateneo, o da ateneo ad ateneo, all’interno della stessa classe tutti i crediti che lo studente ha accumulato nella sede di provenienza vengano tout-court riconosciuti, si prevede un tetto di crediti per disciplina che non sia troppo basso e un tetto massimo di esami per anno. Su questi aspetti è in atto una dura presa di posizione sia della Crui (la Conferenza dei Rettori) sia dell’Interconferenza (la Conferenza dei presidenti delle conferenze dei presidi di tutte le facoltà) i quali ritengono che questi tre provvedimenti ledano l’autonomia universitaria, degli atenei e delle facoltà. Nessuno di noi è in grado di sapere, in particolare dopo il risultato delle elezioni del 9 e 10 aprile, cosa accadrà, perché nessuno può escludere che qualora dovesse cambiare governo su questa materia si possano innestare ulteriori modifiche. Tra l’altro il decreto governativo prevede la possibilità di attuare le nuove classi non oltre il 2007-2008.

Che effetti potrebbero avere queste nuove tabelle sui corsi della facoltà di Lingue?

Per quanto riguarda la facoltà di Lingue e le classi che la interessano, la 3 e la 11 (Mediazione linguistica e Lingue e culture europee), non dovrebbero avvenire grandi sconvolgimenti. Credo che le ultime modifiche che abbiamo apportato ai piani di studio possano armonizzarsi, anche perché nel proporle abbiamo tenuto conto di quelle che si sapevano sarebbero state le nuove classi. Avremo la possibilità nell’ambito delle discipline affini di godere di maggior margine di autonomia, e questo lo valuterà la Facoltà. A mio avviso non sarebbe male se diminuiamo ulteriormente il numero di esami, anzi lo auspico.

Per la classe 14 le cose cambiano. Se è vero – come pare – che la tabella approvata sia quella contro la quale noi avevamo mosso delle critiche, poiché da questa classe scompare dall’ambito delle discipline di base e delle caratterizzanti l’area delle lingue straniere, noi come Facoltà potremmo inserire le lingue straniere nell’ambito delle affini. Ciò richiederà una nuova elaborazione.

Per quanto riguarda le specialistiche mi sembra che gravi sconvolgimento non dovrebbero esserci, anche perchè con le modifiche che abbiamo apportato abbiamo tenuto conto – nei limiti del possibile – di quelle che poteva essere la nuova normativa. Ma tutto ciò è ancora tutto da verificare.

 

E qual è il suo giudizio sulla mobilità, sul numero di esami e sui crediti minimi per materia?

A proposito della normativa indicata dal Ministero, ritengo che sia eccessivo il numero di dieci esami l’anno, ma una norma che dica, nel rispetto dell’autonomia, di limitare il numero degli esami è da accettare. Così come ritengo sia giusta una norma che tenda a dire di non polverizzare le discipline in una sorta di reticolo di micro-crediti, perché questo va a discapito della compattezza e dell’unitarietà delle discipline che vengono insegnate. Su questo non mi sento di gridare allo scandalo. Si tratta di un aspetto da affidare all’autonomia dell’università e delle facoltà, ma che ci sia un indirizzo che tenda a questo non mi pare un fatto negativo, anche perché è un indirizzo che invita a riflettere su  quello che finora si è fatto, riflessione che nell’ateneo di Catania non è stata fatta.

 

L’intervista concessa a Step1 dal prof. Morcellini conteneva pesanti giudizi su alcuni dei corsi di laurea attivati a Catania. Ancora non è stato possibile raccogliere il parere di tutti i responsabili (rimaniamo ancor in attesa delle risposte di alcuni presidi). Lei che ne pensa?

Condivido alcune cose e altre no. Condivido ad esempio l’osservazione del prof. Morcellini rispetto al fatto che in diversi atenei ci sono stati corsi laurea – ma non credo sia il caso della nostra facoltà – che hanno semplicemente cambiato etichetta, mantenendo un’offerta formativa di tipo tradizionale e non specifica. Anche a Catania abbiamo avuto e abbiamo problemi in questa direzione. Però non c’è dubbio che all’interno della facoltà di Lingue ci siamo enormemente sforzati di dare specificità al corso in “Scienze per la Comunicazione Internazionale”, come dimostra anche l’ultima proposta di modifica dei piani di studio.

 

E le cose su cui non è d’accordo con Morcellini?

Non condivido – come ho detto prima – l’indirizzo che Morcellini dà all’offerta formativa relativa alla comunicazione, la sua tendenza a disancorare la comunicazione dall’area umanistica relativamente ai contenuti, privilegiando unilateralmente i settori psico-pedagogici e le facoltà di scienze della formazione. Ad esempio, per quanto riguarda le lingue straniere, in modo del tutto contraddittorio rispetto a quanto dice la declaratoria della classe (che recita che ogni studente deve conoscere almeno due lingue straniere), il prof. Morcellini ha sostenuto che l’ambito delle lingue andasse cassato dalle caratterizzanti, prevedendo tra le discipline di base solo l’inglese. Ciò corrisponde a una visione miope, provinciale e del tutto riduttiva rispetto a quello che è oggi l’allargamento del campo della comunicazione internazionale rispetto ai paesi dell’Est Europa e del bacino del Mediterraneo. Quindi mi trovo in totale disaccordo con le coordinate culturali che sono alla base della proposta della nuova classe 14.

Un elemento che non ho compreso bene nella vostra conversazione con Morcellini è la considerazione che per istituire dei corsi di comunicazione è indispensabile possedere una tradizione. Presa alla lettera un’affermazione di questo genere potrebbe condurre a una logica neo-malthusiana. Per cui dove i corsi di comunicazione c’erano già va tutto bene. E dove non ce n’erano non si possono fare. E chi l’ha detto? Per quale motivo un ateneo non dovrebbe impegnarsi ad aprire una nuova offerta formativa? Che certamente avrà un suo percorso, delle difficoltà e delle tappe. Ma non si vede per quale motivo scienze della comunicazione debba essere appannaggio soltanto di Roma, o di Padova, o di Bologna. Bisogna invece dare la possibilità ad atenei, come quello di Catania, che non avevano questo tipo di offerta formativa di impostarla, e semmai spingerli a farlo con serietà e rigore.

 

Per concludere su una delle questioni più dibattute, cosa ne pensa del percorso ad “Y”?

Sulla questione c’è la massima confusione. Questo percorso non è né normativo né negato; si può fare. Sta alle facoltà decidere se è possibile fare un percorso triennale che dà un titolo spendibile oppure no. Si può inserire un anno comune all’interno di corsi di laurea della stessa classe al fine di sviluppare il resto dell’offerta formativa. Ma tutto ciò, mi permetto di dire, è estremamente confuso e comunque affidato all’autonomia degli atenei e delle facoltà. Ritengo che nell’aria umanistica, come insegna il caso di giurisprudenza, la riforma del 3+2 sia del tutto fallita e che, al di là della possibilità di prevedere alcune lauree triennali molto specifiche con profili professionali ben determinati, bisogna ragionare sui cinque anni con un anno propedeutico: 1+4. Quindi il cosiddetto percorso a Y va attentamente valutato, ma l’ipotesi di adottarlo si inquadra in un orizzonte ancora estremamente confuso, sul quale credo che sarà inevitabile tornare.


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