Crediti uguali in tutti gli atenei

Dopo l’opposizione alla riforma dello status giuridico dei docenti e le critiche ai criteri di ripartizione delle risorse alle università, un nuovo e importante capitolo si va ad aggiungere allo scontro tra governo ed atenei italiani. Questa volta a far infuriare rettori, presidi e docenti ci sono gli ultimi decreti ministeriali sulle nuove classi di laurea, approvati in via definitiva dalla Camera nella scorsa settimana e che adesso sono in attesa del giudizio della Corte dei Conti per essere firmati dal ministro Letizia Moratti e diventare operativi.

In particolare sono due i punti dei nuovi decreti a non andar giù agli atenei italiani: il nuovo sistema di riconoscimento e attribuzione dei crediti agli studenti per ogni singolo esame e l’attuazione della riforma “ad Y” già dal prossimo anno accademico. Uno scontro che si preannuncia più infuocato che mai, visto che se dovesse arrivare il nulla osta da parte della Corte dei Conti, le Università italiane hanno già in mente di presentare ricorso immediato al Tar per scongiurare quello che hanno già definito “un nuovo attacco all’autonomia degli atenei”.

La guerra dei crediti. Gran parte dello scontro tra ministero e università si gioca proprio sul terreno dei crediti universitari. I nuovi decreti, infatti, obbligano gli atenei a riconoscere come vincolanti quei crediti acquisiti dallo studente nei casi di cambio o trasferimento da università diverse. In pratica, ogni ragazzo non potrà più essere privato dei risultati – seppur intermedi – conseguiti all’interno del proprio percorso di studi. Da Milano a Roma, come da Enna a Trento, i crediti degli studenti avranno lo stesso peso specifico e alle università non rimarrà che riconoscerli, a patto che si rimanga nel recinto (in verità abbastanza ampio) della classe di laurea di partenza. Il nuovo sistema va a modificare quanto introdotto nel 1999 dalla riforma Berlinguer-Zecchino, secondo cui ogni singolo credito doveva essere valutato a approvato dai consigli di facoltà. I nuovi decreti inoltre introducono l’attribuzione di un “valore minimo” per ogni singolo esame (sei) e un tetto di otto prove all’anno. In sostanza le facoltà non potranno più prevedere nei propri piani di studi degli esami che garantiscono agli studenti pochi crediti.

Attacco all’autonomia. Se per l’opposizione “con questo decreto si vuole introdurre una sorta di valore legale per ciascun esame universitario, introducendo così un appiattimento qualitativo degli studi e dei titoli conseguiti”, per i rettori il pericolo più immediato è quello di mettere a rischio l’autonomia degli atenei. “Le novità introdotte dal governo pongono un serio limite all’autonomia del nostro sistema universitario – spiega Guido Fabiani, rettore di Roma Tre e membro del comitato di presidenza della Crui -. Gli atenei hanno il diritto e il dovere di intervenire sulla qualità dei crediti acquisiti dagli studenti all’interno di un’altra esperienza di studio. Obbligando le università a riconoscerli, oltre a fare un passo indietro sul tema della valutazione tanto sbandierato da questo governo, si vuole dare una mano anche a quegli atenei privati nati negli ultimi anni”. Non è fantascienza infatti prevedere che da molte dalle università sbocciate sotto l’ala protettrice della Moratti ci possa essere presto una migrazione di massa di studenti verso atenei più prestigiosi. Insomma l’ipotesi che si potrebbe avverare è che uno studente ottenga 2/3 della laurea in un ateneo “di serie B” e poi si trasferisca in una grande struttura per dare un valore aggiunto alla sua laurea. “Opponendoci a questa riforma – conclude Fabiani – vogliamo tutelare gli stessi studenti e la qualità del loro titolo di studio. Non ci può essere riconoscimento senza una attenta verifica della qualità del lavoro svolto”.

L’incognita dei percorsi “ad Y”. Oltre al sistema dei crediti, la partita tra governo e atenei si gioca anche sui tempi di attuazione della riforma “ad Y”, che dovrebbe mandare in pensione il sistema del “3+2”. Il nuovo percorso di studi prevede la possibilità da parte degli studenti – dopo un primo anno propedeutico e comune a tutti – di scegliere se conquistare una laurea triennale per provare ad entrare subito nel mondo del lavoro, oppure continuare a studiare per altri quattro. Se il meccanismo della riforma era chiaro già da tempo a molte università, i nuovi decreti approvati mercoledì scorso hanno accelerato i tempi di attuazione, prevedendo la partenza dei nuovi corsi già dal prossimo anno accademico e in ogni caso non oltre il 2007/2008. Una previsione secondo i rettori “azzardata” visto che l’offerta formativa degli atenei è stata già preparata secondo il vecchio ordinamento e non ci sarebbe più spazio per pensare ad una loro modifica. Anche perché proprio oggi partono le preiscrizioni degli studenti dell’ultimo anno delle scuole superiori.

“Più potere agli studenti”. Ma se i nuovi decreti non sembrano andar giù a rettori e docenti, l’ennesima rivoluzione del sistema universitario italiano sarà accolto con grande soddisfazione dagli studenti, almeno secondo il sottosegretario del Miur Maria Grazia Siliquini, che più di tutti si è battuta per l’attuazione della riforma. “Sono molto soddisfatta – ha spiegato la senatrice di Alleanza Nazionale dopo l’ultimo via libera del Parlamento – perché siamo riusciti ad accogliere le osservazioni del Cun e dei giovani del Consiglio Nazionale degli Studenti Universitari. Con questi decreti abbiamo voluto favorire la mobilità dei giovani tra corsi di laurea simili e tra atenei diversi. Sempre per il bene degli studenti, abbiamo voluto evitare un numero eccessivo di esami e la frammentazione dei crediti formativi assegnati ai vari insegnamenti, che ha contribuito alla parcellizzazione degli stessi, allo scadimento complessivo della qualità nella formazione nonché alla degenerazione di diverse facoltà, trasformatesi in semplici esamifici”.


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