La vicenda della STM segnerà il destino produttivo di Catania

Concordo con le affermazioni di Sessa sui dubbi da parte dell’azienda a mantenere gli impegni  nell’attuale fase di mercato e con le sue  le  preoccupazioni in ordine al rischio che la ricerca  lasci Catania per spostarsi verso  Agrate e la  Francia. Avrei invece qualche cautela ad affermare che si tratta di “allarmismi …  di un giornalista…”, come dice in un intervento  peraltro apprezzabile il preside Fortuna, che conosco e stimo. 

In realtà, Rampini testimonia una tendenza già nota che sta provocando lo  spostamento verso la “Cindia” (la grande aggregazione subcontinentale che rappresenta il polo mondiale di  maggior crescita) non più solo di produzioni mature da delocalizzare, ma del “core business” di diverse multinazionali.

All’origine, certamente, in ragione del minor costo del lavoro; oggi anche per  il fatto che  quelle terre sono destinate  nei prossimi anni a diventare i maggiori mercati di consumo. In Cina esistono già oggi oltre trenta milioni di ricchi in base ai criteri europei, mentre  la società indiana – pur tra contraddizioni drammatiche – gode di tassi di crescita altissimi.

E’ il nodo problematico che ha dato origine al dibattito sul declino dell’Italia: o il sistema produttivo del nostro Paese trova una nuova collocazione nella divisione internazionale del lavoro, oppure  è destinato alla  progressiva marginalizzazione. Altro che dazi doganali e pannicelli caldi di vario genere a sostegno dell’impresa: la via della ripresa  italiana non può che puntare ad una collocazione alta  sul versante dei processi produttivi e della qualità dei prodotti. Ciò significa in primo luogo rilancio della ricerca, nuovi prodotti, nuovi modi di produrli.

La rincorsa alla compressione del salario e dei diritti, da cui è stato tentato per qualche tempo il padronato italiano,  non porta da nessuna parte e non ha  fermato neanche una delle aziende che  hanno scelto di collocare altrove le proprie produzioni. Venendo a Catania , ritengo senza enfasi che la vicenda della STM segnerà il destino produttivo di questa città.

Sono tra i firmatari dell’accordo del luglio 2000 (le ultime vicende confermano quanto  facemmo bene  a sottoscriverlo) che dette avvio alla  vicenda del cosiddetto M6 e considero di grande importanza la battaglia che il sindacato catanese  e nazionale sta conducendo per la realizzazione di quell’investimento. Tuttavia, se rileggo criticamente quell’accordo, individuo in esso il punto debole – comune a molte altre intese  dell’epoca- di un’attenzione eccessiva all’offerta di vantaggi competitivi per l’allocazione nel territorio,  e poca o nulla considerazione  delle condizioni generali nelle quali si collocava la strategia industriale di STM. Perciò è bastato  che  la scelta del  governo di centro-destra di  venir  meno agli impegni sull’erogazione del credito d’imposta si sommasse alla crisi del mercato dei semiconduttori,  per ritardare per un periodo indefinito l’avvio della nuova iniziativa.

Ne traggo la riflessione che, costretta la multinazionale franco-italiana ad onorare gli impegni, è necessaria una riconsiderazione delle caratteristiche della presenza di quest’azienda a Catania. Può  darsi che il sito catanese  non riesca a tornare ai ritmi di crescita dell’inizio del decennio, ma esso  deve consolidare i processi occupazionali secondo le previsioni dell’accordo del 2000; deve soprattutto compiere la scelta di rafforzare le componenti della ricerca e sviluppo sulle tecnologie innovative. Venivano indicate le fonti energetiche alternative, aggiungerei le nanotecnologie e la ricerca sui nuovi materiali, che rappresentano la vera scommessa del futuro.

Comincia a tramontare la prospettiva, devastante per il Mezzogiorno, che il futuro economico di queste aree possa  declinarsi esclusivamente attraverso il  turismo e la grande distribuzione e tornano- per fortuna-  a circolare ragionamenti sullo sviluppo industriale. Ricompare,  per esempio,  l’idea dei distretti tecnologici  specializzati come risposta all’esigenza di ricostruire nel Meridione  un apparato industriale competitivo a livello internazionale: ciò significa  innanzitutto riconsiderare in termini innovativi il rapporto tra azienda, territorio e sistema della ricerca, a partire dall’Università.

A Lecce, per esempio, è stato costituto nel 2001 uno dei principali centri italiani di ricerca sulle nanotecnologie  che opera in collaborazione con importanti aziende italiane ed europee, tra cui la stessa STM; in Campania l’impegno della Regione sulla   ricerca scientifica e l’innovazione tecnologica ha prodotto risultati positivi  grazie soprattutto a Luigi Nicolais, che sta ora ” esportando” in Puglia il metodo e gli strumenti. 

La Sicilia, e Catania, su questo terreno hanno compiuto negli ultimi anni la marcia del gambero perdendo continuamente posizioni. Eppure esistono  energie e competenze  preziose che rischiano di andare sprecate se non si realizza una rapida e decisa inversione di tendenza.

Ed allora,concludendo, perché non si lavora sull’idea di un accordo di programma tra le aziende innovative presenti nel territorio, a partire dalla STM, l’Università, le istituzioni locali e nazionali per dare corpo e gambe al progetto del distretto tecnologico dell’elettronica? Capisco che, con l’aria che tira, non son tempi: ma dopo l’inverno arriva sempre la primavera… E con essa il 9 di aprile…

 

L’intervento del Prof. Enrico Rizzarelli

Il commento di Giuseppe Sessa, rappresentante FIOM-CGIL

Le dichiarazioni rese dal Preside di Ingegneria Luigi Fortuna

Il reportage di Federico Rampini su “La Repubblica” del 13/12/2005


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