Melissa P.

Titolo: Melissa P. Regia: Luca Guadagnino.
Sceneggiatura: Luca Guadagnino, Barbara Alberti, Cristina Farina.
Interpreti: Maria Valverde, Elio Germano, Letizia Ciampa, Primo Reggiani, Geraldine Chaplin.
Produzione: Francesca Neri, Claudio Amendola, Iona De Macedo.
Origine: Italia/Spagna 2005. Durata: 1h e 40 min.

 

Cominciamo subito a chiarire un punto fondamentale. Questo film ha poco o nulla a che vedere con il libro della giovane autrice catanese che fece scalpore due anni fa. E non solo per lo stravolgimento del tessuto narrativo, ma soprattutto perché mutano profondamente le caratterizzazioni dei personaggi e il significato della storia. A prescindere dal valore artistico che ciascuno ha dato o vorrà dare al best sellers di Melissa Panarello, e senza qui volersi pronunciare in merito a questo aspetto, si ritiene di condividere la scelta della scrittrice di ripudiare il film e di non voler apparire nei titoli. Diciamo che gli unici punti in comune tra il libro e il film sono il diario (ma non quello che c’è scritto, ovviamente), l’età della protagonista ed il fatto che questa si dia a smodate avventure sessuali. Il che, intendiamoci, è più che legittimo e questa non è di certo la prima pellicola liberamente ispirata ad un opera letteraria.

Il punto non è quanto dello spirito originario del libro sia stato trasposto nell’opera filmica, quanto piuttosto il fatto che quest’ultima è apparsa essere una accozzaglia di spunti narrativi legati in modo più che superficiale da una sceneggiatura degna di una soap opera di medio livello ed in cui l’unico elemento preponderante è stata la noia.
Si parte con una prolungata inquadratura dei seni della giovane protagonista (Maria Valverde, vincitrice in Spagna di un premio Goya nel 2003 per “La flaqueza del bolchevique“) lasciando presagire chissà quale crescendo ed invece la componente erotica è ben lontana dall’essere una forte presenza di questo film. Potrebbe essersi trattato di una scelta stilistica, anche se qui poi dovrebbe aprirsi una parentesi su un lancio pubblicitario che promette un certo indirizzo (vedi le immagini cosiddette “bollenti” centellinate sui vari siti internet nei mesi scorsi) e poi si rivela il classico mezzuccio per accalappiare più spettatori possibili. Ma questo ci condurrebbe troppo lontano.

Il punto è che se da un lato l’elemento erotico latita, dall’altro il film non riesce ad avere uno spessore drammatico degno di questo nome. Anzi, non di rado alcune sequenze risultano risibili, a cominciare dal primo incontro tra Melissa e l’amore a lungo sognato Daniele (Primo Reggiani, “Rosa Funzeca“, 2002), il quale prima con fare romantico le chiede se lei vuole baciarlo ed allo sguardo affermativo di lei, risponde, in puro stile da hard d’annata, di baciarlo in un’altra zona del corpo di cui lasciamo ai lettori la facile intuizione. A questa scena la gremitissima sala dove veniva proiettato il film è letteralmente venuta giù dalle risate. Ed eravamo ancora all’inizio. La proiezione è proseguita tra profondi sbadigli e ironici applausi a sequenze improbabili quale quello del confronto con la madre, una scena che avrebbe dovuto essere una chiave di volta nella narrazione ma che si è ben presto esaurita in una inconcepibile rappresentazione del nulla. Alla fine del film, quando nei titoli è apparso il nome di Luca Guadagnino (che firma soggetto, sceneggiatura e regia) più di uno spettatore, con poco velate metafore indirizzate a consigliare il suicidio artistico, lo ha invitato a cambiare mestiere.

A prescindere dagli eccessi di spettatori delusi, ci sentiamo di condividere tale invito, limitatamente alla realizzazione di opere quali “Melissa P.”. Guadagnino fino a ieri era uno stimato autore di opere importanti, sempre ospite dei festival internazionali, e che con il suo linguaggio alternativo stava contribuendo ad avviare un nuovo discorso sulla rappresentazione del docu-fiction al cinema. Chi ha visto “Mundo civilizado”, forse la sua opera più estrema da un punto di vista stitlistico, si sarà reso conto di come a prescindere dalla condivisione del suo modo di intendere il cinema, quantomeno gli si doveva riconoscere una onestà di intenti nella volontà di avviare un certo tipo di percorso avulso dalle logiche commerciali.

Con “Melissa P.” tutto questo discorso viene a cadere. Il film è sostanzialmente una operazione economica che Guadagnino ha probabilmente diretto controvoglia e senza immedesimazione emotiva. A nulla serve sparpagliare nel film immagini tremolanti e fuori fuoco, un espediente che sa più di nostalgia che lo stesso regista ha per il suo cinema del passato che di una ricercata cifra stilistica consona alla narrazione.
“Melissa P.” è un’opera che sulla carta aveva delle buone possibilità di riuscita, ma che un ottica di produzione miope ha relegato a successo commerciale del momento di cui tra un po’ nessuno si ricorderà più.


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