Attraversando l’Europa Unita

La carrozza del treno frenò alla stazione di Copenaghen qualche minuto dopo mezzogiorno. Salimmo con i nostri zaini ingombranti cercando dello spazio per la roba e per sederci un po’.
Eravamo alla terza tappa di questo nostro itinerario europeo ed i treni ormai erano di casa per noi che avevamo deciso d’attraversare l’Europa con l’Interrail. D’altronde era il tipo di viaggio più semplice ed immediato. Solo un biglietto, la carta d’identità e nient’altro. Né passaporto né niente. Le frontiere erano oramai un ricordo, prima di qui eravamo passati dall’Italia all’Austria e poi alla Germania senza che confini invalicabili potessero frenare la nostra avventura.

L’arrivo in Svezia non fu una sciocchezza, il tempo era pessimo e un vento gelido ci diede il benvenuto a Stoccolma. Città bellissima ed affascinante. Solo qualche anno prima la stessa squadra di noi viaggiatori era costretta con calcolatrice in mano a verificare il cambio tra lira e corona, oggi l’Euro toglie qualsiasi dubbio: un panino col pesce costa molto sia in lire che in corone che in euro.
Il rito del Change non era una passeggiata, i tassi d’interesse riuscivano a ridurre il tuo patrimonio in poche banconote e molti spiccioli. La moneta unica ci allontanò così da quelle agenzie spesso affollate da fantastici spaccati di mondo. Marks tedeschi, escudos portoghesi, schilling d’Austria e le pesetas spagnole s’intrecciavano in un solo e piccolo sportello d’agenzia ma così grande nei contenuti. E con loro anche le croccanti banconote francesi, i colorati franchi belga e le incomprensibili dracme greche.

Arrivati alla stazione centrale della capitale nordica riuscimmo a comunicare in inglese con il tipo del International Tourist Information. Musei, visite e siti ci vennero indirizzati dal punto informativo. E grazie alle nostre student card riuscimmo a procurarci degli sconti fenomenali (Più o meno come i ridotti per i bambini) al Nordiska Museet ed al Vasa Museet. Poi tra gli opuscoli ammucchiati nei nostri marsupi, individuammo un campeggio dove stare per un paio di notti.
Il camping è un luogo strano. E’ il riassunto perfetto del mondo che viaggia, scopre, si conosce, diffida, si fida, incontra e si scontra e si riposa sotto ad una tenda. Una specie di ritorno alle origini tribali. Una sorta porto franco delle culture.
In camping siamo tutti diversi ma anche tutti uguali. Abbiamo visi ed espressioni diverse ma parliamo la medesima lingua per capirci. Abbiamo radici differenti ma ingurgitiamo gli stessi panini targati fast-food. C’è da dire la verità sarà capitato a tutti, ma a davvero tutti i viaggiatori di imbattersi nel dilemma massimo del contatto con l’estero: viaggiare è conoscere luoghi diversi o riscontrare le similitudini e le uguaglianze tra i luoghi diversi?

La domanda risultò meno banale per noi una volta arrivati nel fetta più centrale di Stoccolma alle 11:00 in punto.
La Svezia era scomparsa, era scomparso il Nordiska Museet, il Vasa, le corone ed i costumi locali. Ci ritrovammo nello stesso tempo a Roma, Parigi, Londra, Berlino, Madrid.
Palazzi enormi con insegne delle maggiori transnazionali europee e non solo, ristoranti internazionali, catene globali di cibo arabo e giapponese, paninerie americane.
Il problema era che non avevamo attraversato svariate migliaia di chilometri per ritrovare la stessa mappazza internazionale; lo avevamo fatto per scontrarci con le differenze, per farci ubriacare dal folklore e per addentrarci nella cultura popolare del paese scandinavo.
La mattinata tuttavia continuò all’insegna della comunicazione con studenti svedesi che poi contattammo di nuovo in serata, grazie ai nostri cellulari italiani che funzionavano anche all’estero.

Bene a questo punto la bella Svezia era ormai un ricordo, salimmo sull’ennesimo treno che ci avrebbe portato a Monaco di Baviera. Dalla Danimarca alla Germania solo un controllo alla carta d’identità ed ovviamente al biglietto del treno. Passammo Amburgo, Berlino fino al sud del paese. L’arrivo a Munich avvenne nelle prime ore del mattino. La consuetudine prevedeva la tappa fondamentale al Tourist Information per raccogliere informazioni sulla città e sugli spostamenti. Monaco è la città del sole non c’è dubbio, e conserva, nonostante la nostra diffidenza, una cultura popolare molto viva. La gente pranzava all’aperto in enormi parchi verdi. Il pranzo? Immancabile il wurstel di maiale o pollo con senape e cipolla, tutto annaffiato da fiumi di birra bionda. Il nostro battesimo culinario fu proprio in una specie di fiera all’aperto dove si arrostivano, al momento, le migliori carni mai viste, wurstel di uno strano color grigio accompagnati da crauti e pane nero bavarese dal gusto dolceamaro.

Ma l’apoteosi del colore e del calore l’avvertimmo nella celebre birreria Hofbrauhaus, dove musica di fisarmoniche, bretelle verdi di camerieri biondi, canti a squarciagola ed ovviamente il riflesso dorato dei boccali di birra riassumevano perfettamente il concetto di folklore.
Lì dentro era il dialetto bavarese a dominare, non si parlava molto. Si beveva e s’intonavano i motivi proposti dalla banda musicale.
Si dovrebbe sorvolare sulla quantità di denaro speso in malto, lascio che il segreto rimanga tra me ed il bancomat più volte disturbato. Il pomeriggio seguente ci trovavamo sdraiati s’uno degli immensi parchi della città ed il vento debole ci ispirò una considerazione interessante per analizzare la contraddizione della nostra avventura: abbiamo attraversato metà Europa grazie ai benefici che l’Europa Unita ci ha offerto ma ci stupiamo di fronte ad una sorta di omologazione socio-culturale forse inevitabile.
Vogliamo l’unità ma anche la diversità, la libertà di movimento nel perimetro europeo ma anche scontrarci con le difficoltà del territorio. Ci piace mangiare i piatti tradizionali ma scegliamo i fast food perché costano meno. Godiamo della moneta unica ma spendiamo di più perché non riusciamo a capirla.

Non trovammo mai un responso ai nostri lamenti, lasciammo Monaco la sera stessa e il centesimo treno del nostro Interrail ci riportò verso casa. Lì a Catania certe allucinazioni ci stordirono. Allucinazioni dovute alla stanchezza ed al grande numero di posti, parlate e strade incrociate. L’ultima immagine prima di cadere a letto stremati era di un pupo siciliano che parlava l’inglese.


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