«Se un boss volesse, potrebbe iscriversi ai Radicali, non cacciamo nessuno. Anzi, negli anni ’70 avveniva, magari dopo essere stati arrestati. Il punto è che non sarebbe mai il boss a dettare la linea, che arriva dalla mozione approvata ogni anno dal partito». È un Marco Cappato determinato a difendere con convinzione la linea, le finalità e le battaglie dei Radicali, quello che a margine della conferenza stampa sulla cannabis terapeutica, risponde sull’inchiesta che ha coinvolto Antonello Nicosia, collaboratore parlamentare della deputata Giuseppina Occhionero e membro del comitato nazionale dei Radicali Italiani.
In Sicilia per la presentazione del suo libro e, soprattutto, per intervenire al Transeuropa Festival che si terrà oggi a Palermo, Cappato non ha dubbi: «Le nostre organizzazioni politiche sono diverse dalle altre, nel senso che sono come degli autobus per ottenere degli obiettivi che sono indicati dalla mozione annuale. Chiunque può iscriversi ai soggetti politici radicali. Il diritto a visitare le carceri, ottenuto negli anni Settanta a prezzo di lotte molto dure, ha impedito che continuasse a essere una terra di nessuno dove non c’è rispetto delle regole né da parte dello Stato e né da parte della criminalità».
Ancora a proposito della vita dietro le sbarre e delle rivendicazioni dei Radicali, Cappato sottolinea: «Se oggi si può conoscere che cosa accade nelle carceri è grazie alle nostre battaglie che sono motivo di vanto. Sono certo – continua – che nulla delle inchieste in corso coinvolge i soggetti politici radicali. Non credo che Nicosia sia più un iscritto, ma non è questo il punto: un iscritto radicale, rimane tale anche se diventa un assassino, un torturatore, un criminale. Ciò che è importante è quello che fa il partito o il movimento politico. Non facciamo l’esame del sangue a ogni singolo iscritto».
«Penso che chiunque conosca il metodo radicale, che è un metodo nel quale c’è il divieto di espellere dal partito chiunque e c’è l’obbligo di agire pubblicamente – aggiunge – ha avuto e avrà stima di quello che stiamo facendo perché difendere i diritti, anche dei detenuti, significa difendere i diritti dei cittadini liberi. Perché le pene devono essere combinate nel rispetto delle regole, altrimenti lo Stato diventa un potere che perde il controllo. Per cui io ritengo che il caso Nicosia non abbia fatto danni alle nostre battaglie, c’è qualche giorno di scandali perché evidentemente a livello mediatico fa gola accostare il termine radicale al termine mafia, ma alla fine chi ci conosce sa bene quale rigore abbiamo nel combattere anche la mafia attraverso il rispetto dello Stato diritto».
Cappato è stato al centro delle cronache degli ultimi mesi anche per la sensibilizzazione sul tema dell’eutanasia e del suicidio assistito: «Stiamo cercando di ottenere il diritto per tutti i cittadini di potere scegliere liberamente fino alla fine della propria vita, sulle proprie cure, ma anche sulla interruzione delle proprie sofferenze. Abbiamo ottenuto con la disobbedienza civile un passaggio molto importante della Corte Costituzionale. Ma è una battaglia che va avanti fino a quando otterremo la legalizzazione dell’eutanasia, contro l’eutanasia clandestina e la morte nel dolore e nella disperazione».
Infine la cannabis terapeutica, argomento protagonista della conferenza stampa di ieri mattina, che secondo Cappato «non dovrebbe nemmeno essere un tema politico, perché riguarda le prescrizioni da parte dei medici. Il problema è che pur essendo autorizzato, non c’è una produzione adeguata e quindi noi chiediamo che la Regione Siciliana si faccia portatrice della richiesta al governo nazionale di produzione di cannabis per le persone malate. Poi c’è il grande tema della legalizzazione delle droghe non per scopo terapeutico ma nel rispetto della libertà individuale e per togliere profitti immensi alla mafia e alla criminalità organizzata. In questo senso – conclude – l’unica politica antimafia credibile sarebbe quella delle legalizzazioni che continua a essere ignorata dal potere italiano e anche siciliano».
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