Caso Niceta, finale amaro dopo l’incontro con Bubbico «Lui ha in mano la mia vita e quella della mia famiglia»

Sembrava ormai fatta. Ma i colpi di scena si susseguono nella vicenda di Angelo Niceta, l’ex imprenditore palermitano che ha denunciato ai magistrati le collusioni tra la mafia e la Palermo bene. La Procura di recente ha rinnovato al Ministero dell’Interno la richiesta per riconoscergli lo status di testimone di giustizia e ammetterlo al programma di protezione, a dispetto di quello di collaboratore di giustizia, assegnatogli secondo i pm senza motivazione. Ieri mattina Niceta ha incontrato personalmente, viaggiando fino a Roma a sue spese, il senatore Filippo Bubbico, presidente della Commissione centrale per le speciali misure di protezione. È proprio lui che, un anno prima, aveva firmato i documenti con cui il Ministero aveva comunicato a Niceta il cambio di status da quello di testimone, richiesto dai sostituti procuratori Nino Di Matteo e Pierangelo Padova, a quello di collaboratore, malgrado sia incensurato e non abbia processi a carico per associazione mafiosa.

Decisione per la quale Niceta non ha mai ricevuto spiegazione, dal momento che gli atti sono stati secretati. Centrale, nell’incontro di ieri, la richiesta dell’ex imprenditore che venga applicata «con estrema urgenza» la legge e che, quindi, alla luce delle nuove richieste mosse dal procuratore capo Francesco Lo Voi e dal procuratore generale Roberto Scarpinato venga valutata la sua attuale condizione e vengano disposte le necessarie misure di tutela per lui e i suoi familiari. L’incontro, però, si è concluso con un finale amaro. Il senatore Bubbico infatti, attende il parere della Procura nazionale antimafia. Solo dopo agirà. Fino ad allora non potrà mettere all’ordine del giorno la deliberazione sullo status di Niceta, al quale ha suggerito di accettare, nel frattempo, la protezione speciale riservata ai collaboratori di giustizia. Misura che l’uomo già un anno fa aveva rifiutato, tornando a Palermo, perché umiliante e denigratoria, che lo etichettava come pentito. Uno status che «non è adeguato alla mia persona e che non corrisponde a quello richiesto dalla Procura».

Bubbico tira in ballo anche la Prefettura di Palermo, che per prima dovrebbe provvedere ad accogliere la richiesta di Niceta. Ma a nulla, finora, sono valsi appelli, sit-in e incontri negli uffici di via Cavour. Tuttavia, la Prefettura ha comunicato nei giorni scorsi di aver emesso un dispositivo urgente di tutela per Niceta. Ma nulla ancora si è mosso. E la situazione assume contorni sempre più critici: l’uomo infatti è ormai giunto al quarantaduesimo giorno di digiuno a oltranza, che interromperà solo quando verrà predisposto il cambio di status e scatteranno le misure di protezione. Ha già perso oltre 20 kg e va incontro a «danni neurologici irreversibili, emorragie interne dovute a ulcere gastriche esofagee, una diminuzione del sangue e un minore afflusso di ossigeno al cervello, insufficienza renale e improvviso arresto cardiaco», secondo l’allarme lanciato già una settimana fa dalla dottoressa Carmela Di Rocco.

Intanto, l’avvocato Rosalba Vitale, legale di Niceta, ha contattato la segreteria del procuratore nazionale antimafia Franco Roberti, che ha spiegato di aver ricevuto la nuova proposta di ammissione del 3 luglio e che la sua lavorazione comporterà un inter di almeno 20 giorni, ai quali vanno aggiunti quelli inutilizzabili per la pausa estiva. La segreteria dichiara, tuttavia, di non aver ricevuto ad oggi alcuna richiesta di parere da parte della Commissione centrale, contrariamente a quanto invece sostenuto dal senatore Bubbico. L’avvocato ha quindi deciso di presentare personalmente «l’istanza alla Procura nazionale antimafia per parere urgente alla Commissione centrale». Un continuo rimpallo insomma, fra un’istituzione e un’altra che ormai da tempo sta segnando la vicenda di Angelo Niceta, scoraggiato da questo immobilismo: «La mia vita, quella di mia moglie e dei mie figli è in mano a Bubbico. Non ho altro da aggiungere».

Ancora solidarietà dal mondo della politica: la settimana scorsa infatti il senatore Giuseppe Lumia ha presentato al Senato una nuova interrogazione con risposta scritta al Ministro dell’Interno sulla vicenda, allarmato dalle gravi condizioni di salute di Niceta, chiedendo di spiegare «la discrepanza tra il parere della Dda di Palermo che gli riconosce la qualità di testimone di giustizia e quello della Commissione centrale che invece lo classifica come collaboratore». Entra nella vicenda anche l’onorevole Pippo Civati, che ha inoltrato un appello al presidente della Repubblica Sergio Mattarella e al ministro dell’Interno Marco Minniti: «La storia di Angelo Niceta è, ancora una volta, quella di un uomo che ha coraggiosamente deciso di denunciare affari mafiosi (in questo caso andando anche contro alcuni componenti della sua famiglia) e si è ritrovato senza protezione e senza supporto da parte delle istituzioni – scrive l’onorevole – È l’ennesimo caso di una gestione dissennata da parte del Ministero dell’Interno che, sui testimoni di giustizia come per i collaboratori, sta dimostrando un allarmante disinteresse che, mai come oggi, sta sfiduciando chi si assume le responsabilità di denunciare. Ora davvero è arrivato il tempo di alzare la voce, senza tentennamenti, e chiedendo un cambio di passo che non è più rimandabile».


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