Caso Miccoli, condannato a tre anni e 6 mesi L’ex capitano in lacrime. «Sentenza illogica»

Condannato a tre anni e sei mesi Fabrizio Miccoli. Così ha deciso il gup Fernando Sèstito questo pomeriggio. L’ex bomber rosanero, processato in abbreviato, doveva rispondere di concorso esterno in estorsione aggravata dal metodo mafioso. «Non se l’aspettava nessuno questo esito, ma purtroppo è accaduto», sono queste le prime parole dell’avvocato Giovanni Castronovo, che lo rappresenta insieme al collega Gianpiero Orsino. Nessun commento invece da parte del calciatore, anche oggi presente come in tutte le precedenti udienze, che si è allontanato dall’aula del palazzo di giustizia in lacrime. Secondo la ricostruzione dell’accusa, che a settembre 2016 aveva chiesto di archiviare la sua posizione, salvo poi – dopo il rigetto del gup Séstito – chiederne la condanna a quattro anni, Miccoli avrebbe tentato di recuperare il credito vantato da Giorgio Gasparini, ex fisioterapista del Palermo, nei confronti di Andrea Graffagnini, l’agente dei vip. I due, infatti, erano stati soci insieme della discoteca di Isola delle Femmine I Paparazzi. Per farlo si sarebbe rivolto all’amico Mauro Lauricella, figlio del boss della Kalsa Antonino, detto u scintilluni, processato a parte insieme a Gioacchino Alioto: per entrambi il reato è stato riqualificato nel meno grave di violenza privata.

«Una sentenza illogica – prosegue l’avvocato Castronovo -, e a riprova di questa illogicità abbiamo un estorsore, secondo il quadro dipinto dalla pubblica accusa, che viene assolto e il mandante che viene condannato. Una condanna, però, sulla base di elementi per i quali la Procura stessa aveva prima chiesto l’archiviazione». Solo un anno fa, infatti, il pm Maurizio Bonaccorso, adesso impegnato a Caltanissetta con il processo a carico della giudice Silvana Saguto, aveva addirittura chiesto l’archiviazione. Una richiesta motivata dal fatto che inizialmente si ipotizzava l’esercizio arbitrario delle proprie ragioni, circostanza che però si accompagna alla consapevolezza da parte del soggeto coinvolto che l’evento possa trasformarsi in qualcos’altro che costituisca reato. In questo caso, l’estorsione dei duemila euro a Graffagnini, a fronte dei 12 mila vantati da Gasparini. C’è stato un momento, in questa contorta vicenda giudiziaria, in cui la Procura si era convinta che non ci fossero prove che dimostrassero tale consapevolezza da parte del giocatore.

«L’ufficio della Procura è unico, pensavo che si sarebbe tenuto conto delle considerazioni e le conseguenti richieste formulate un anno fa dal pm Bonaccorso, mi aspettavo una certa coerenza – aggiunge ancora il legale – Vero che il giudice ha imposto l’imputazione coatta, ma è pur vero che al processo abbiamo riversato tutti gli atti del procedimento e tirato in ballo anche la sentenza di primo grado di Lauricella in cui si dice che Miccoli non c’entra niente e l’estorsione non c’è». Secondo la difesa dell’ex fantasista rosanero, infatti, a venire meno in questa vicenda sarebbe il reato stesso. «L’estorsione non c’è quando uno chiede la restituzione dei soldi dovuti, perché questi erano quei 12 mila euro. Purtroppo ne prendiamo atto e ci prepariamo serenamente per l’appello, aspettiamo di leggere con curiosità le motivazioni». Per conoscere i dettagli che hanno portato il giudice a questa decisione occorrerà aspettare i canonici 90 giorni. «Sono sicuro che non servirà arrivare a Berlino per trovare un giudice, la Corte d’Appello ripristinerà la figura di Miccoli, sono sicuro che in appello otterrà giustizia».

Silvia Buffa

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