«Non ci possiamo riposare nemmeno cinque minuti, continua l’accanimento nei suoi confronti». Ironia e amarezza si fondono nelle parole dell’avvocato Michele Calantropo che solo oggi, finalmente, ha potuto incontrare Medhanie Tesfamariam Behre e spigargli cosa sta succedendo. Il giovane eritreo, arrestato nel 2016 con l’accusa di essere il trafficante di uomini Medhanie Yehdego Mered, è rimasto in galera per tre anni. Fino a quando il giudice della seconda corte d’assise di Palermo ieri non ha decretato ufficialmente che lui è stato vittima di un errore di persona. Per anni è stata processata, insomma, la persona sbagliata. Immediata la scarcerazione, disposta dallo stesso giudice, che lo ha anche condannato a cinque anni per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, con pena già scontata vista la detenzione dal 2016.
E i cancelli del Pagliarelli, in effetti, nel pomeriggio tardo si sono aperti dopo la pronuncia della sentenza che finalmente lo rendeva libero. Ma non per restituirgli una parvenza di vita, ma per condurlo ammanettato e a bordo di una volante di polizia al Centro per il rimpatrio Pian del Lago, a Caltanissetta. Da una prigione a un altro prigione, insomma. «Il questore ha emesso un provvedimento di trattenimento in attesa di espulsione», spiega il legale, che ha potuto parlare con Behre solo oggi, dal momento che ieri gli è stato impedito per tutto il giorno. Lunedì 15 luglio al tribunale civile nisseno si discuterà della convalida o meno del provvedimento di trattenimento.
Le possibilità sono limitate: o si deciderà per l’espulsione, ipotesi però assai improbabile dal momento che il giovane non può fare ritorno nel paese natale, l’Eritrea, col quale non sussiste ad oggi alcun accordo di espulsione e nel quale sarebbe presumibilmente perseguitato come disertore. Né in Sudan, paese in cui tre anni fa è stato arrestato in un cafè di Khartoum, poiché di fatto lui non è un cittadino sudanese. In alternativa, potrebbe essere trattenuto al Cpr a tempo indeterminato. Lunedì sarà il giudice monocratico a decidere sulle sorti del giovane ex lattaio e falegname. Intanto Behre dovrà attendere nella struttura, senza possibilità di allontanarsi liberamente malgrado la sentenza emessa appena ieri, «è come stare in un altro carcere, ci sono anche le sbarre. Piaccia o non piaccia, posti come i Cpr sono proprio questo».
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