«Giustizia è fatta perché sono state mantenute anche le aggravanti, cioè lo stalking, la crudeltà e la premeditazione». Queste le parole di Ignazio Danzuso, avvocato delle parti civili costituitesi nel processo contro Luca Priolo, il giovane assassomp della ex convivente Giordana Di Stefano. La sentenza della Cassazione è stata pronunciata pochi giorni fa e ha ritenuto inammissibile il ricorso presentato dalla difesa rappresentata dagli avvocati Francesco Marchese e Giovanni Aricò e che ha confermato la condanna a 30 anni di reclusione del ragazzo. «La sentenza ha messo la parola fine ad un vicenda davvero brutta – ha continuato l’avvocato Danzuso – Le varie richieste formulate, legittimamente, dalla difesa, sono state ritenute inammissibili. In primis l’asserito vizio di mente. Il signor Priolo, così dice la Cassazione, così ha detto la Corte d’Appello, così aveva detto il gup, era perfettamente in grado di intendere e di volere quando massacrò Giordana con 48 coltellate».
Lo scorso gennaio i giudici della terza sezione della Corte d’Assise d’Appello di Catania avevano confermato la condanna a 30 anni di carcere per Priolo. La sentenza di primo grado era stata emessa il 7 novembre 2017 a conclusione del processo con rito abbreviato. La mamma di Giordana, la signora Vera Squatrito, aspettava «giustizia – ha proseguito Danzuso – lei continua la sua battaglia, non è finita. La mamma di Giordana sta combattendo una battaglia molto dura non solo contro il proprio dolore ma anche affinché certi aspetti normativi a suo giudizio non corretti vadano modificati: uno di questi, su tutti, la possibilità di usufruire dello sconto di pena nel caso di un abbreviato come è successo a noi. Una pena dell’ergastolo non è più tale ma diventa di 30 anni. Lei sta combattendo questa battaglia: non so se questo è corretto, ma quello che è certo è che ci sta mettendo il cuore. Probabilmente questa sentenza le darà una forza maggiore».
Da tempo Vera Squatrito sta portando avanti, assieme alla signora Giovanna Zizzo (la mamma di Laura Russo la bambina di 12 anni uccisa dal padre), una campagna di sensibilizzazione in scuole e Comuni. Un messaggio indirizzato sia ai ragazzi che alle ragazze: avere rispetto dell’altro senza pretendere di decidere della vita altrui. Priolo, che aveva confessato l’omicidio, ha sempre negato di aver agito con premeditazione, ribadendo che il movente sarebbe da collegare a un «raptus» provocato dalla volontà della ragazza di non ritirare la denuncia per stalking nei suoi confronti: la prima udienza si sarebbe dovuta celebrare proprio nei giorni del femminicidio.
La ventenne aveva presentato una querela nei confronti dell’ex fidanzato: sms assillanti e appostamenti sotto casa l’avevano spinta a denunciarlo dopo la fine di una tormentata relazione da cui era nata anche una bambina. Per l’affido esclusivo di quest’ultima i due avevano in corso una causa civile. La donna aveva presentato la richiesta, accettata dal padre in cambio del ritiro della denuncia per stalking. Priolo avrebbe voluto, infatti, chiudere il procedimento per il rilascio del porto d’armi, necessario per ottenere un posto da guardia giurata al quale avrebbe aspirato. Il corpo della donna era stato trovato in via Mompeluso, nelle campagne della periferia di Nicolosi, a pochi passi dalla sua Audi A2. La giovane era stata raggiunta da molti colpi di coltello all’addome, al torace e alla gola.
Dopo il delitto, Priolo era fuggito con l’intenzione di arrivare in Svizzera. Prima con la macchina della madre, ritrovata alla stazione di Messina, e poi con un treno diretto a Milano. È nel capoluogo lombardo che Priolo ha commesso un errore. Ha inviato un sms al padre da un cellulare chiesto in prestito a un passante; il messaggio è arrivato proprio mentre il padre si trovava nella caserma dei carabinieri della compagnia di Paternò.
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