Piero Messina e Maurizio Zoppi sono indagati per pubblicazione di notizie false. Il primo anche per calunnia. Ma il suo avvocato interviene: «Mai messo a verbale davanti ad alcuna autorità giudiziaria notizie sulla fonte». Intanto si leva una voce critica sulle decisioni dei magistrati: dalla smentita al giudizio sulla falsità della notizia
Caso Crocetta, «Giornalista non ha rivelato la fonte» Legale associazione Atria: «Da Procura atti abnormi»
«Piero Messina non ha mai messo a verbale davanti ad alcuna autorità giudiziaria notizie sulla fonte. Non solo, ma non ha mai inviato ad alcuna autorità giudiziaria alcuna relazione. Messina è stato sentito per la prima volta ieri dall’autorità giudiziaria in qualità di persona sottoposta ad indagine e lì si è avvalso della facoltà di non rispondere come anche il collega Maurizio Zoppi». Interviene Fabio Bognanni, il legale del giornalista Piero Messina, uno dei due autori dell’articolo pubblicato dall’Espresso sulla presunta intercettazione choc tra il presidente Rosario Crocetta e il suo medico Matteo Tutino, dopo la notizia dell’iscrizione nel registro degli indagati dei due cronisti da parte della Procura di Palermo.
Messina e Zoppi sono indagati per il reato di pubblicazione di notizie false, esagerate o tendenziose, per le quali può essere turbato l’ordine pubblico. È l’articolo 626 del codice penale per cui è previsto anche il carcere. Messina è indagato anche per calunnia perché avrebbe rivelato la fonte della notizia, un carabinieri dei Nas, che, sentito dalla procura, avrebbe smentito. Ma è proprio su questo aspetto che l’avvocato Bognanni interviene per fare chiarezza. Messina, secondo il legale, non ha mai parlato davanti a un’autorità giudiziaria della fonte. Come è stato possibile dunque identificarla, sentirla e ricevere la presunta smentita, da cui nasce l’accusa di calunnia?
A sottolineare come in questa storia la Procura di Palermo avrebbe, sin dall’inizio, seguito un percorso non consueto è l‘associazione nazionale antimafie Rita Atria, attraverso il suo legale Goffredo D’Antona, del foro di Catania. «Ci sono stati degli atti abnormi da parte della Procura», sottolinea. Il primo, secondo D’Antona, è «la smentita motu proprio della presenza di quella telefonata nei propri atti». «Capita – scrive l’avvocato dell’associazione in una nota – che un giornalista riporti una notizia non vera. Magari diffamatoria. Ma raramente, quasi mai ricordo, che una Procura si occupi in tempi cosi brevi di smentirla, di sua sponte. Chi viene diffamato da una notizia non vera da un articolo non vero ha una serie di diritti a tutela della propria immagine e del proprio onore. Il primo è il più semplice, chiedere di essere sentito, interrogato. In tali casi, ed in caso di infondatezza della notizia, una Procura ha il diritto anzi il dovere di smentire. “ Non ti interrogo su questo fatto perché questo fatto per me non esiste, non è nei mie atti “. Ciò non è accaduto».
Secondo punto critico è il reato contestato: la pubblicazione di notizie false che possono turbare l’ordine pubblico. «Un giudizio sulla falsità non c’è stato – puntualizza D’Antona – La smentita della Procura di Palermo è sicuramente importante. Ma da questo a dire che la notizia sia falsa, ce ne vuole, ed è sicuramente prematuro. Magari lo è, ma in questo momento non lo si può dire con assoluta certezza». In sintesi: «Io Procura sostengo che quella notizia è falsa e pertanto indago per questa notizia chi la riporta. Ma – puntualizza il legale catanese – Nel sistema processuale penale italiano le cose funzionano in maniera diversa. Alle Procure non competono giudizi. Questi come dice il termine competono ai giudici».
C’è poi il possibile turbamento dell’ordine pubblico. E su questo aspetto l’associazione Rita Atria – in prima fila anche nella battaglia contro il Muos di Niscemi e ora tra le poche voci che indirettamente difendono il lavoro dei due giornalisti dell’Espresso – ricorda come il presidente Crocetta abbia più volte «accusato di essere mafioso chi non la pensa come lui»: dalle «affermazioni sulle infiltrazioni della mafia dentro il movimento No Muos», all’aver «chiamato in causa Cosa Nostra come possibile responsabilità di un incidente stradale che lo vedeva coinvolto sulla Catania-Siracusa». «Ecco questo forse turba l’ordine pubblico – spiega l’avvocato – Che l’unica opposizione a Crocetta in Sicilia sia riconducibile a Cosa Nostra. Ma la Procura di Palermo non la pensa cosi. Non ricordo che abbia convocato Crocetta per chiedergli spiegazioni su tutti gli attentati da parte della mafia, su tutte le infiltrazioni di cosa nostra in Sicilia nei movimenti democratici dell’isola, di cui solo lui è al corrente».