Al centro dell'indagine è finita l'assegnazione della gestione del centro, valore quasi 100 milioni di euro, bloccata dal presidente dell'Anticorruzione Raffaele Cantone che la ritenne illegittima. Le accuse: corruzione finalizzata a ottenere vantaggi elettorali e turbata libertà di scelta del contraente le ipotesi di reato
Cara Mineo, le interferenze sulla gara d’appalto Avvisi conclusione indagini, c’è pure Castiglione
Avvisi di conclusione indagini del filone catanese dell’inchiesta Mafia capitale. A emetterli è stata la procura della Repubblica di Catania per quanto riguarda l’indagine sull’appalto da circa 100 milioni di euro del Cara di Mineo. Le ipotesi di reato avanzate dai magistrati titolari del fascicolo – Raffaella Vinciguerra e Marco Bisogni, coordinati dal procuratore capo Carmelo Zuccaro – sono corruzione per atto contrario ai doveri e corruzione di persona incaricata di pubblico servizio, entrambe finalizzate a ottenere vantaggi elettorali. E ancora, turbata libertà del procedimento di scelta del contraente. Coinvolte complessivamente 15 persone. Tra i destinatari del provvedimento spicca il sottosegretario all’Agricoltura, nonché esponente del Nuovo centro destra, Giuseppe Castiglione.
Ma non solo. Avvisi di conclusione indagini sono stati recapitati anche a Luca Odevaine (chiamato al Cara di Mineo come consulente), Paolo Ragusa (ex presidente di Sol.Calatino, la cooperativa capofila dell’appalto), Giovanni Ferrera (ex direttore del consorzio di Comuni Calatino terra d’accoglienza, quello che gestisce il centro di accoglienza) e Anna Aloisi (ex presidente del consorzio e attuale sindaca di Mineo). «Dopo 18 mesi da quando sono stato indagato potrò dare le mie spiegazioni. Chiarirò all’autorità giudiziaria la mia posizione e il mio comportamento improntato alla massima chiarezza, al rigore e alla correttezza così come dimostrato nelle sedi istituzionali», commenta il sottosegretario Castiglione.
La gara d’appalto da circa cento milioni di euro finita sotto la lente d’ingrandimento degli inquirenti era stata assegnata al consorzio temporaneo d’impresa Casa della Solidarietà. Per poi essere bloccata dal presidente dell’Anticorruzione Raffaele Cantone che la definì «un abito su misura». Al suo interno figuravano i consorzi Sisifo di Legacoop, Senis hospes e La Cascina. E ancora la Sol.Calatino e la Pizzarotti di Parma, proprietaria del residence.