«Altrimenti lui, per scusarsi, prende il bambino: “Levati dai coglioni”. E ti fa assessore». Nonostante le temperature fossero più che autunnali, quella del 18 novembre 2018 a casa di Antonino Candela è stata una serata molto calda. L’ex direttore generale dell’Asp 6 di Palermo chiamato due mesi fa a guidare il comitato di specialisti che affianca la Regione nella gestione dell’emergenza Covid-19 è a casa con il 47enne Giuseppe Taibbi. Amico e, secondo la procura di Palermo, faccendiere di Candela. I due sono stati arrestati oggi con l’accusa di essere pezzi di un sofisticato sistema corruttivo che avrebbe pilotato una serie di appalti da centinaia di milioni di euro alle spalle della sanità pubblica. Una rete intricata che avvolge funzionari infedeli, imprenditori e uomini – come Taibbi – che fanno da collante. Utili a oliare i rapporti, cercando di non esporre i protagonisti a sguardi indiscreti.
Quella del 18 novembre a casa Candela è una serata difficile perché a bollire è la rabbia della mancata nomina a manager della sanità. Una riconferma che in un primo tempo sembrava sul piatto e che poi era tramontata, nonostante dal governo Musumeci fosse arrivata la rassicurazione: «Verrà chiamato a dirigere un ente regionale». Il 55enne, d’altra parte, non era l’ultimo arrivato. Sul suo curriculum, campeggia la medaglia al merito assegnata dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Un attestato seguito a quell’impegno all’insegna della legalità che aveva portato, qualche anno prima, Candela a denunciare la truffa sull’acquisto dei pannolini e a iniziare una collaborazione con la magistratura. Con tanto di scorta assegnata a tutela della sua incolumità.
Quell’immagine di limpidezza oggi però sembra inevitabilmente compromessa. A intorbidirla sono le intercettazioni finite in mano alla guardia di finanza e le dure parole usate dal gip nell’ordinanza che ha disposto gli arresti. Tra i fatti finiti al centro delle indagini ci sono i favori che Candela e Taibbi avrebbero fatto – in cambio di mazzette per 268mila euro, che stando ai patti sarebbero lievitate a 820mila – nei confronti della Tecnologie Sanitarie spa, società che si era aggiudicata l’appalto per la manutenzione delle apparecchiature elettromedicali.
Ma nelle oltre cinquecento pagine siglate dalla gip Claudia Rosini ci sono passaggi che vanno oltre i reati contestati, tracciando un quadro del background in cui prendono forma le nomine politiche. Tra livori, invidie, rabbia e progetti di dossieraggio per farla pagare a chi ha fatto tramontare le proprie aspettative. Nelle conversazioni intercettate la sera del 18 novembre, escono fuori i nomi di Nello Musumeci e Ruggero Razza (entrambi non coinvolti nell’inchiesta). I toni non sono morbidi e rilasciano un’immagine tutt’altro che di armonia, perlomeno di quell’armonia che ci si sarebbe attesi tra chi, due anni dopo, avrebbero lavorato a braccetto per contrastare la pericolosa pandemia. «Se lo avessi saputo prima, caro Giuseppe, questa è stata una cosa scientifica, uno si dimetteva prima ma siccome mi ha preso in giro e ci ha preso in giro, ci siamo fidati», dice Candela a Taibbi, senza sapere di essere ascoltato dai finanzieri.
Il riferimento è all’esclusione dalla rosa di manager decisa poche ore prima dalla giunta regionale. Nel mirino di Candela e Taibbi, per gli inquirenti, c’è il presidente Musumeci. «Allora, se tu vuoi, io in questa settimana mi esco fuori tutti i casini che hanno queste persone… e poi si fa un bell’articolo», è la replica di Taibbi. Il faccendiere, secondo la ricostruzione della procura, sarebbe stato pronto ad avviare un’attività di dossieraggio per screditare i nomi scelti per guidare la sanità regionale. E mandare, di conseguenza, un messaggio al governatore. Per sostenere la propria proposta Taibbi spiega, e forse millanta, di avere agganci importanti a Roma. «I due vicepremier (Luigi Di Maio e Matteo Salvini, ndr) che tanto vogliono la Sicilia e tanto casino vogliono fare in Sicilia e tanto non vogliono questo presidente – spiega l’uomo a Candela – Io sono in grado di recapitargli, sia a uno che all’altro nelle proprie scrivanie, non per email, ma nelle proprie scrivanie, un dossier dove c’è: “vedi che questo Lanza che c’ha questo, questo e questo; Coletti è stato arrestato, quello ha problemi, quell’altro ha problemi… Questa deve essere la sanità della Sicilia?”».
Un piano che – il faccendiere palermitano ne era sicuro – avrebbe garantito quantomeno «un minimo di bordello». Ma non solo: la pressione attorno a Musumeci sarebbe stata tale da poterlo indurre a fare rientrare Candela non solo dalla finestra, ma di farlo in pompa magna. Per Taibbi, infatti, le polemiche che ne sarebbero seguite avrebbero portato il presidente della Regione a rinunciare a Ruggero Razza. L’assessore alla Sanità, nonché il proprio braccio destro nel governo regionale. Quello che per Candela e Taibbi viene definito semplicemente «un bambino» a cui dire di togliersi dai piedi. Alla richiesta di assenso rivolta da Taibbi a Candela, la risposta arriva perentoria: «Ma tu non mi devi dire “se tu vuoi”. Tu, per i rapporti che noi abbiamo, tutto quello che tu puoi fare fallo». Di cosa ne sia stato del dossier non è chiaro nelle carte dell’indagine né tantomeno se tra Musumeci, Razza e Candela ci siano stati ulteriori chiarimenti. Le occasioni, negli ultimi due mesi, dopo la nomina a coordinatore del comitato tecnico anti-Covid di certo non sono mancate.
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