Campagne pericolose, nuovo omicidio stessi problemi «Costretti a fare ronde, ma violenza non è la soluzione»

«Dopo quel che è successo, gli agricoltori possono rassegnarsi: qui non dovranno più crescere limoni, non deve più crescere nulla». Superata la mezzanotte tra mercoledì e giovedì, con la forza intrinseca della lingua siciliana, questo auspicio ha interrotto le manifestazioni di dolore dei familiari di Vito e Cristian Cunsolo, i due cugini uccisi a colpi di pistola da Giuseppe Battiato, l’anziano che ha ammesso agli inquirenti le proprie responsabilità. Spiegando di dormire da un po’ con una pistola Browning semiautomatica sotto al cuscino per il timore di ritrovarsi davanti le persone che volevano obbligarlo a cedere il fondo di via Roccamena, budello che taglia le campagne acesi di Piano d’Api. La frase, che ha suscitato l’intervento di un’investigatrice dando vita a un acceso confronto, poggia su un convincimento comune a tutti i presenti: «Non si può morire per la colpa di andare a rubare per portare a casa qualche spicciolo per fare mangiare i bambini».

L’insicurezza delle aree rurali è un tema che periodicamente conquista le pagine dei giornali ma che chi lavora in campagna – grandi o piccoli imprenditori, cambia poco – conosce da vicino, senza distinzione di stagione. A contrapporsi sono le pretese di chi difende i furti di necessità (vere o presunte) e le aspettative di quanti invece vorrebbero vedere difeso il proprio lavoro, la serenità. Nel caso di Piano d’Api, per quanto i familiari delle vittime siano stati i primi a parlare agli investigatori di furti di agrumi, una volta emersa la preoccupazione per le sorti dei due giovani, le indagini da subito hanno preso una strada diversa. L’ipotesi che a suscitare l’interesse dei Cunsolo non fossero i limoni, ma la terra e l’acqua che in via Roccamena, grazie alla presenza di una condotta, non manca, è ritenuta verosimile. Il motivo potrebbe stare nella ricerca di un fondo dove coltivare marijuana. «Se fosse così, ci ritroveremmo con un nuovo problema, l’ennesimo, dopo l’abigeato, i furti e le estorsioni legate all’imposizione della guardiania», è il commento che arriva da Coldiretti. L’associazione, dal canto proprio, tiene a specificare che a oggi non ci sono le condizioni da far pensare a un fenomeno diffuso.

Ciò che invece non ha bisogno di particolari elementi di prova per essere affermato è il fatto che, a oltre due anni dagli omicidi compiuti alla Piana di Catania, il problema sicurezza persiste. «Durante gli incontri in prefettura si parlò di videosorveglianza, ma non è stato fatto nulla. Comunque temo servirebbe a poco, durerebbero poco». A parlare a MeridioNews è Alessandro Scirè, 40enne imprenditore che opera nel Calatino. «Agricoltori da quattro generazioni, ma spero che i miei figli facciano altro anche se questo per me resta il lavoro più bello che esiste». La consapevolezza delle tantissime criticità – dalla siccità agli incendi, fino alle azioni predatorie – che minacciano anno dopo anno il settore potrebbe far pensare alla rassegnazione, ma così non è. «Non c’è alcun furto o sopruso che può giustificare un omicidio, ma sorvolare sulle difficoltà che affrontiamo sarebbe ipocrita, un modo per sorvolare un problema che invece chi coltiva i campi vive sulla propria pelle ogni giorno», afferma Scirè.

L’impresa di famiglia – agrumi nella stagione invernale, albicocche in quella calda – non è stata esente dai furti. «L’anno scorso i danni economici subiti sono stati ingenti – continua – Capita di trovare chi punta sul fatto di dover dare da mangiare ai figli e magari si accontenta di una cassetta di frutta e chi invece ha atteggiamenti più arroganti. Sono gruppi organizzati, vere e proprie squadre, con almeno due station wagon per caricare la frutta e un’altra auto a fare da vedetta». L’incapacità di accettare di vedere vanificati i propri sforzi, non solo economici, ha spinto Scirè e altri imprenditori a organizzare ronde per controllare i propri fondi. «È l’unica cosa che possiamo fare, significa controllare notte e giorno le campagne. Ciò porta a investire anche denaro per pagare i turni degli operai, ma non abbiamo alternative. Così facendo riusciamo a fare da deterrente ai malintenzionati».

Il termine ronda spesso evoca propositi bellicosi ma, nel caso di Scirè, l’approccio è diverso. «Vedere estranei in quella che è casa propria porta istintivamente a voler reagire in maniera forte, ma rovinare la vita propria e quella altrui non servirebbe a nulla, neanche a ridurre questo fenomeno – commenta l’imprenditore -Per questo ci muoviamo diversamente: non appena si avvista un movimento sospetto si telefona a chi sta a casa, al quale spetta il compito di contattare immediatamente le forze dell’ordine, mentre coloro che sono in campagna si muovono per presidiare i terreni. Spesso far vedere che siamo presenti, muoverci con i fari accesi è sufficiente a dissuadere i ladri». Inevitabile chiedere se ci si senta abbandonati dalle istituzioni. «Questa è una domanda ci viene posta spesso, ma affermare che le forze dell’ordine non ci tutelano sarebbe falso. Quando li contattiamo accorrono sempre e da parte loro c’è massima disponibilità. Il problema – conclude – semmai è che manca il personale, quando la pattuglia si trova a trenta chilometri dal luogo d’intervento è scontato che non arriveranno in tempo. Per questo, finché non si faranno scelte diverse a livello centrale, l’unica cosa che possiamo fare è vigilare noi, senza sosta».


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