Giuseppe Capizzi, costruttore nato a Bronte, ex candidato sindaco di Maletto e vincitore di appalti pubblici da svariati milioni di euro. Un nome notissimo alle falde dell'Etna, finito invischiato nella maxi-inchiesta di ieri contro la 'ndrangheta
Blitz in Calabria, indagato anche il malettese Capizzi Divieto di dimora per l’imprenditore di corso Martiri
C’è un metodo imbattibile per «concordare» le cose e non farsi scoprire dalle forze dell’ordine. Basta usare la posta elettronica. Non serve inviare email, è giusto necessario creare un indirizzo ad hoc, condividere la password con l’interlocutore desiderato e scambiarsi messaggi tramite le bozze. Non si spedisce niente a nessuno, ma si conversa in tempo quasi reale. Rischio zero, nessuna traccia e, soprattutto, garanzia di affidabilità. «Io faccio così», dice Giuseppe Capizzi, intercettato dalle forze dell’ordine calabresi nell’ambito della maxi operazione Rinascita. Quattrocentosedici indagati, 330 arrestati e quattro obblighi di dimora per accuse che vanno dall’associazione mafiosa con la ‘ndrangheta al traffico di influenze. Ed è per questo reato che è finito sotto il mirino della direzione distrettuale antimafia anche Capizzi, imprenditore edile nato a Bronte e residente a Maletto.
I protagonisti della storia che dalla Calabria passa lo Stretto e arriva in Sicilia sono quattro. Oltre a Capizzi ci sono Pietro Giamborino, ex consigliere regionale calabrese, ritenuto «formalmente affiliato alla cosca locale di Piscopio»; Nicola Adamo, ex vicepresidente della Regione Calabria, deputato regionale per cinque legislature e marito della deputata nazionale del Partito democratico Enza Bruno Bossio; e Filippo Valia, nipote di Pietro Giamborino e accusato di avere fatto l’intermediario tra il parente e l’imprenditore etneo. Quest’ultimo ben noto anche fuori il piccolo Comune di Maletto: nel capoluogo etneo, infatti, si è aggiudicato – con la ditta Consorzio stabile costruttori – uno dei lotti per il risanamento di corso dei Martiri. Probabilmente la grande opera, nel suo complesso, più rilevante di Catania città.
Nel novero degli appalti in Sicilia, vanno poi contati quello per i 60 alloggi popolari a Bronte o quello per la realizzazione di abitazioni della stessa tipologia a Ribera, nei pressi di Agrigento. Un cantiere di oltre otto milioni di euro affidato dopo un iter lungo anni. Nell’elenco compare anche la costruzione, costo due milioni 248mila euro, dell’edificio cinque per il dipartimento di Ingegneria dell’università Kore di Enna, e il completamento di un’area polifunzionale in contrada Margi, a Maletto. Opera, quest’ultima, finanziata dalla Regione ma i cui fondi (un milione di euro circa) sono stati bloccati da Palermo per via delle lungaggini per il completamento. Senza contare l’impegno politico del rampante impresario: candidato a sindaco nel 2018 nel Comune di Maletto e adesso consigliere nel piccolo centro pedemontano.
Tutte attività che fanno di lui «un giovanotto brillante di Catania», per usare le parole di Giamborino. Capizzi è indagato per un appalto nella zona di Vibo Valentia. Una gara bandita dal Comune per la messa in sicurezza di alcune frazioni vibonesi che però il malettese non riesce ad aggiudicarsi, posizionandosi solo al secondo posto. Così decide di fare ricorso al Tar di Catanzaro. Per accertarsi del buon esito della pratica, cerca l’amico Giamborino che lo raggiunge a Messina il 31 marzo 2018. Dal contenuto della loro conversazione parte il presunto traffico di influenze di cui la direzione distrettuale antimafia catanzarese accusa tutt’e quattro, in concorso. Il problema è serio, l’appalto vale oltre sei milioni di euro e, secondo gli indagati, bisogna mettere in campo tutte le possibilità. Spunta così nella conversazione il nome di Nicola Durante, magistrato del Tribunale amministrativo regionale di Catanzaro, menzionato ma non coinvolto nell’inchiesta. «Può essere Durante, può essere un altro – riflette Giamborino – Certo, lui sono quarant’anni che è là… Meglio se lo sappiamo prima».
La conversazione va avanti. Bisogna capire chi è il presidente della corte, serve comprendere con chi provare a parlare a proposito delle nomine della commissione tecnica che valuterà i progetti. «La prudenza, Giuseppe, la prudenza non è mai troppa», sottolinea l’ex politico all’indirizzo dell’amico da Maletto. Pochi giorni dopo, Pietro Giamborino torna in Calabria e incontra un altro amico. Si tratta, stavolta, di Nicola Adamo, personaggio di primo piano nel Calabrese. Il riepilogo della faccenda viene registrato dalle cimici degli investigatori, che ascoltano tutto. «Ho chiamato Durante – rassicura Adamo – È il Tar che nomina la commissione. Quindi gli si dovrebbe dire i nomi da nominare […] Se può nominare una commissione amica…». Il discorso fila, è lineare. Ma niente si fa per niente: per l’accusa, l’attività di mediazione dell’ex presidente della Regione Calabria sarebbe costata 50mila euro. Poca cosa rispetto a una gara multimilionaria.
L’8 aprile, poco più di una settimana dopo il primo incontro, Giamborino dà la questione per risolta. Si vedono di nuovo lui, suo nipote Filippo Valia e Capizzi. «Il Tar è lui», garantisce Giamborino riferendosi a Durante. Dunque basta che lui scelga i professionisti da inserire in commissione, ed è fatta. I nomi, però, gli si devono suggerire, vanno sondati i contatti tra i tecnici, i professori delle università calabresi. I dettagli vanno discussi con attenzione, ma senza lasciare traccia. «Allora – interviene Capizzi – Telefoni… Intercettazioni ambientali… Se ti vogliono ingabbiare in 24 ore sei in gabbia». L’escamotage delle bozze nelle email, invece, è sicuro. «Questo è lo strumento che utilizzo con…», dice Capizzi. Con chi, però, dagli audio registrati risulterebbe incomprensibile. Il dubbio, dunque, resta. Quello che secondo gli inquirenti è certo, invece, è che parte dei lavori conseguenti al buon esito del ricorso davanti al Tar avrebbe dovuto svolgerli la ditta di Giuseppe D’Amico, originario della frazione di Piscopio, a Vibo Valentia. Imprenditore, quest’ultimo, ritenuto legato alle ‘ndrine locali. L’altra cosa sicura è che il 6 novembre 2018 il Tar di Catanzaro accoglie il ricorso di Capizzi: per il tribunale amministrativo regionale, scrive la procura di Catanzaro nell’ordinanza di custodia cautelare, bisogna annullare i punteggi attribuiti alla prima classificata e procedere a una nuova valutazione.
Riceviamo e pubblichiamo da Giuseppe Capizzi:
Ci tengo a precisare che non sono indagato per mafia, o Ndrangheta. Consorterie criminali da cui ho preso sempre le distanze. Questa è una certezza. Alcuni mesi fa ho proposto una denuncia che ha portato all’arresto di esponenti della criminalità organizzata.
Nessuna agevolazione abbiamo avuto, Il nostro progetto offriva sicure garanzie in termini di prezzo e di qualità avrebbe permesso all’amministrazione di risparmiare circa 1,5 milioni per una maggiore qualità.
Abbiamo proposto opposizione e il giudizio amministrativo ci ha visto perdenti, testimonianza del fatto che nessuno ci ha agevolati anche perché se diversamente fosse accaduto tra gli indagati ci sarebbero stati componenti del Tar. Ne tanto meno ho mai promesso ne corrisposto somme di denaro a nessuno.
Se ho ottenuto dei risultati sono dati dal fatto, e chi mi collabora lo sa bene, che la mia giornata lavorativa inizia alle 6:00 del mattino e finisce alle 23:00 tutti i giorni a volte domenica inclusa. Confido fermamente nella giustizia nella quale credevo e ci credo molto di più dal supporto e la vicinanza che sto ricevendo in seguito alla mia denuncia di minacce nonché tentata estorsione.
Ho delle certezze: credo nel lavoro, amo il mio lavoro, lo svolgo nel migliore modo che riesco, sono certo del fatto che il crimine non mi appartiene.