Blitz antimafia, l’arsenale nascosto nell’ovile «Usiamo un bidone, così non entra acqua»

Un vero e proprio arsenale. Vincenzo Pellitteri, il pastore ritenuto dagli investigatori il capo della famiglia mafiosa di Chiusa Sclafani, i figli Roberto e Salvatore, e il nipote Salvatore, tutti finiti in manette ieri nell’ambito dell’operazione antimafia Grande Passo 3, erano un gruppo di fuoco a disposizione di Cosa nostra. Pronti a mettere a segno intimidazioni e omicidi ai danni di imprenditori vittime di estorsioni o semplici cittadini coinvolti in vicende private di eredità contese. Nell’ovile di Pellitteri, nascoste sotto alcune balle di fieno, i carabinieri hanno trovato una pistola e quattro fucili oltre al relativo munizionamento. Una Beretta calibro 7.65 aveva il colpo in canna pronta a sparare. 

Lo scorso gennaio Salvatore Pellitteri e il cugino Roberto, intercettati dalle cimici dei carabinieri, discutevano del luogo dove nascondere le armi, dell’opportunità di spostarle sfruttando l’oscurità della notte per evitare eventuali controlli sul territorio delle forze di polizia, nonché sulla necessità di provarle ed effettuare la dovuta manutenzione per mantenerle efficienti. «Ho il posto buono per andarle a mettere. In un angolo di casa» diceva Salvatore. «A questa qua ci trovo… ora mi scendo… sotterro il tubo io, mi salgo il tubo e la infilo dentro al tubo» spiegava Roberto. «Me la prendo, la porto dentro io, vedo dove posso scavare dentro, qualche buco lo faccio dentro io, stacco due mattoni, ci faccio il telaio tutto in legno e poi ci metto i mattoni sopra. Così faccio».

Perché sotterrate nel terreno non potevano stare. Il rischio era che si rovinassero. Ecco allora la soluzione alternativa. Dentro un bidone. «Così non gli entra nemmeno aria» spiegava Salvatore al cugino, che replicava «Chiusa la dentro, acqua non ne prende dentro il bidone. Ascolta il bidoncino non si sfarina poi, col tempo?» chiedeva Roberto Pellitteri. Una preoccupazione subito dissipata da Salvatore: «No, da qua che si farina, minchia vero non si deve toccare più!».

Le indagini hanno permesso anche di individuare nascosti in un pozzetto frigo in disuso nelle campagne di proprietà di Pellegrino Grisafi, 56 anni, incensurato di Caltabellotta, nell’agrigentino, tre fucili perfettamente funzionanti, uno a canne mozze marca Franchi calibro 12 con matricola abrasa, una doppietta sovrapposta marca Lames calibro 12 con matricola parzialmente abrasa e un’altra doppietta calibro 12 priva di matricola, e relativo munizionamento, tra cui colpi a palla singola, «particolarmente dirompenti» spiegano gli investigatori.

Per i carabinieri del Nucleo investigativo di Monreale e della compagnia di Corleone si tratta di «un importante riscontro che avvalora ulteriormente la concretezza delle minacce captate e della pericolosità sociale degli arrestati, che avevano in mente di costituirsi in un mandamento diverso da quello di Corleone, avvicinandosi a esponenti agrigentini di Cosa nostra, e che programmavano omicidi, anche su commissione per somme di denaro esigue».


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