Il divieto assoluto di parlare in spazi chiusi, la ricerca continua di posti sicuri in cui potere discutere di temi delicati. Gli incontri organizzati in luoghi affollati. Dalle indagini dell'operazione che ha colpito i mandamenti mafiosi di Trabia e San Mauro emerge tutto il timore dei presunti boss di essere ascoltati
Black cat, summit all’ospedale e la paura delle intercettazioni «Mettono cose in macchina per sentire quello che diciamo»
«Sono cornuti. Ce la fidano a mettere cose là nella macchina per sentire cosa diciamo». Utilizzo dei telefoni ridotto ai minimi termini, luoghi d’incontro scelti con cura in terreni isolati, piazzali o posti molto affollati. Secondo quanto emerso dalle intercettazioni raccolte nell’ambito dell’operazione Black cat, per gli uomini del mandamento mafioso di Trabia quella delle intercettazioni era diventata una vera e propria ossessione. Il divieto di parlare in luoghi chiusi era regola ferrea e l’automobile doveva essere usata esclusivamente per portare gli interlocutori nei posti considerati sicuri.
Ne è esempio l’incontro tra Gandolfo Interbartolo, geometra ritenuto gregario della famiglia di Cerda, che per parlare con Stefano Contino, presunto capo di quello che è ritenuto dagli investigatori un submandamento assoggettato a quello di Trabia, batteva in auto i campi fingendo di dovere ispezionare un terreno. L’intento in realtà era quello di trovare luoghi isolati in cui sfuggire a cimici e pedinamenti. «Ora facciamo una cosa, ci mettiamo cinque minuti: a tipo che andiamo a guardare qualche terreno», spiega all’interlocutore, per poi dirigersi in aperta campagna e discutere della posizione scomoda dell’ex sindaco di Cerda, Andrea Mendola, costretto a dimettersi dopo diverse intimidazioni subite. Una volta scesi dall’automobile ed essersi sincerati di non avere con loro i telefoni, i toni diventano più rilassati, i discorsi più espliciti.
L’auto sembrava essere la preoccupazione principale anche di Massimo Restivo, detto Sigareddu, indicato dal pentito Sergio Flamia come esponente della mafia termitana, che nel corso di un incontro con il presunto reggente di Trabia, Diego Rinella, esprime tutta la sua preoccupazione. «Sono consumato con questa minchia di macchina», dice Restivo a Rinella, che lo invita a recarsi in un posto ritenuto sicuro. Un terreno dove, una volta arrivati, possano continuare la discussione allontanandosi dall’auto. «Nella macchina… noi altri usciamo fuori – continua il termitano – No, fino a che è 15, 20 metri no, non ti preoccupare. Niente ci fa».
Per gli incontri tra gli esponenti dei diversi mandamenti, invece, si preferivano gli spazi molto affollati. La riedificazione del potere del mandamento mafioso di Trabia, intenzionato – secondo quanto emerso dalle indagini – a rafforzare il proprio controllo su alcuni comuni madoniti, richiedeva un estenuante lavoro diplomatico. Sempre Interbartolo, insieme a Michele Modica e Antonino Vallelunga, ritenuti uomini di spicco del mandamento di Trabia, e a Mauro Bonomo e Antonio Scola, di San Mauro Castelverde, hanno scelto per il loro summit il porto turistico di Cefalù. Il centro designato, invece, per gli incontri tra affiliati del mandamento trabiese è l’ospedale di Termini Imerese. Il nosocomio termitano è frequentatissimo, dagli incontri in pronto soccorso per poi convergere in un bar vicino ai summit negli uffici dell’amministrazione, dove lavorava il caccamese Vincenzo Calderaro. «… Non mi ricordo bello pulito chi minchia è… boh… lui è al protocollo… sopra? e questa l’abbiamo sbrigata pure… l’appuntamento… è meglio all’ospedale… è meglio di qua… comunque lui non è sorvegliato… però dice… cornuti va… sempre mi vengono appresso…», dice ancora Contino a Interbartolo nell’organizzare un incontro con Diego Guzzino, reggente della famiglia di Caccamo.