«Abbiamo tinto dei sapori della Sicilia la birra, un prodotto verso il quale questa terra storicamente non è vocata». Ad affermarlo è Dino Fiorenza titolare, insieme al fratello Antonio, del birrificio artigianale Timilia. L’idea di produrre birra da vendere nel settore della grande distribuzione è nata nei due poco per volta. «Io sono un medico, mentre Antonio è un ex dirigente sindacale – racconta Dino – non siamo del settore e abbiamo iniziato a fare birra in casa con i classici kit insieme alle nostre mogli, più di quindici anni fa». In realtà Dino Fiorenza è anche deputato all’assemblea regionale siciliana, tra gli autonomisti. Passato dall’ortopedia alla politica – con in mezzo le indagini sulle spese folli all’Ars -, oggi spiega come il passo dal piano cottura di casa al nuovo stabilimento situato a Catania sullo stradale Primosole sia stato «una scommessa che finora sta andando parecchio bene». Del resto «il nostro marchio è stato il primo a usare i frutti della terra sicula per realizzare birre dal sapore nuovo», continua. E la caratteristica del birrificio da lui gestito è proprio quella di «aver creato innovazione partendo da qualcosa di antico, ovvero il grano tumminìa», precisa Fiorenza.
L’azienda Timilia, infatti, produce tre tipi di birre utilizzando solo prodotti a chilometro zero e di tradizione siciliana, senza ricorrere a processi di pastorizzazione, filtrazione e schiarimento. Il prodotto di punta – il primo a essere realizzato nel 2013 – è Timilì sicilian blonde ale. La birra è a base di luppolo e grano di tipo tumminìa, così come la Timilì sicilian red ale e la Timilì sicilian strong ale, che a differenza della prima, prevedono rispettivamente l’aggiunta di succo d’arancia rossa e di miele delle api nere dell’Etna. «Il processo di realizzazione delle bevande è assolutamente naturale in ogni suo passaggio, dalla cottura alla rifermentazione ma – precisa Fiorenza – la novità assoluta è la sostituzione della tumminìa all’orzo distico».
«Prima di scoprire che potevamo usare l’antico grano siciliano come ingrediente delle nostre birre, io e mio fratello ne abbiamo provati molti altri», racconta Fiorenza. «Nella nostra azienda agricola di Gagliano Castelferrato, in pieno entroterra siculo, abbiamo piantato per anni il grano detto carciasacchi, il cosiddetto russello, il frumento cappelli e infine tumminìa», continua l’imprenditore. Che spiega come la scelta sia ricaduta sull’ultimo frumento per «la magia di una spiga che, pur raccogliendo in sé pochi chicchi, ha proprietà incredibili». Tra le sue peculiarità ci sarebbero il basso contenuto di glutine e «un tempo di soli quattro mesi per passare dalla fase della semina a quella della raccolta».
Senza contare il dato storico sul quale Fiorenza esercita tutta la sua conoscenza. «Questo tipo di grano venne portato in Sicilia dai greci nel V secolo avanti Cristo ed fu esaltato a frumento principe dai Romani che, qualche secolo dopo, lo utilizzarono per sfamare tutte le popolazioni dell’Impero», racconta Fiorenza. «Scomparve dai mercati quando iniziarono ad arrivare in Sicilia tipologie di grano che garantivano una resa migliore, seppur di qualità più bassa e – continua – è riapparso da qualche anno con il boom della consumazione di cibo biologico e green».
Il birrificio Timilia ha attualmente una capacità produttiva di duemila e 400 litri di birra al giorno in doppia cottura e i suoi prodotti vengono distribuiti principalmente in ristoranti ed enoteche della provincia di Catania. «Puntiamo a conquistare i mercati internazionali», conclude Fiorenza, mentre fa le valigie per Londra. La settimana prossima Timilia sarà ospite di «una nota fiera londinese sulle birre artigianali».
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