«Dai dati che rileviamo noi i minori che giocano nelle sale da gioco e nei centri scommesse sono moltissimi». Dopo l’operazione Reset di ieri, che ha portato alla chiusura di dieci esercizi commerciali per l’assenza di concessione dei Monopoli e di licenza del Questore, la psicologa e psicoterapeuta Patrizia Nacci analizza un aspetto finora sottovalutato. Nacci si occupa dal 2002 di gioco d’azzardo e fa parte da sei anni della cooperativa sociale L’elefante bianco, specializzata in progetti sulla prevenzione delle dipendenze e del gioco d’azzardo patologico (detto gap … ndr) in ambito adolescenziale. Un legame, quello tra gioco d’azzardo e giovanissimi, finora sottovalutato.
Specie se si considera che nel solo 2016 gli italiani e le italiane hanno puntato 96 miliardi di euro nel settore. Secondo un’indagine condotta dall’Università di Bologna in collaborazione con Nomisma, in Italia un ragazzo su due di età compresa tra i 14 e i 19 anni subisce il fascino di scommesse e lotterie e il fenomeno è in diffusione soprattutto al Sud. Dati confermati dalla recente ricerca, focalizzata sulle scommesse sportive, condotta dai professionisti de L’Elefante Bianco a Palermo all’istituto professionale Medi: un questionario sottoposto a 176 studenti delle secondi classi, in cui il 46 per cento dichiara di giocare in modo frequente. Una simile percentuale (il 44 percento) afferma poi di avere amici che giocano. Seppur parziali, i numeri parlano chiaro.
«Noi stiamo gettando le basi per una raccolta dati sempre più sistematica – spiega Veronica Riccobene, anche lei psicologa e presidente della cooperativa -. Al momento ci occupiamo prevalentemente di prevenzione e formazione, sin dal 2009. Siamo itineranti, offriamo alle scuole progetti già finanziati. Da poco siamo entrati anche nell’osservatorio distretto 13 sulla dispersione scolastica». Ma il lavoro da fare è ancora tanto, come conferma Mauro Nicolicchia, terzo componente de L’elefante Bianco e assistente sociale. «Il nostro è un tentativo di arginare, seppur in piccolo – dice -. Noi non pontifichiamo o facciamo la lezioncina moralistica su quanto sia cattivo l’azzardo. Senza demonizzare ma cercando di fornire strumenti di consapevolezza. Sveliamo ad esempio ai ragazzi i trucchi del gioco, come le reali possibilità di vincita al Gratta&Vinci. Spesso sono loro a darci spunti e informazioni: sanno dove si gioca illegalmente, conoscono tipi di giochi che noi non conosciamo, ci danno delle dritte sul mercato dei campionati minori».
L’impegno della piccola ma combattiva cooperativa è volto anche al costante tentativo di fare rete: tra enti pubblici (soprattutto i Sert, servizi per il recupero le tossicodipendenze), le scuole, le associazioni. Un auspicio che tra l’altro è confermato dalla legislazione, come le linee guida diffuse dalla Regione Siciliana nel 2015 ma finora poco attuate. «Questo tipo di interventi richiede continuità – conferma Nacci -. Invece a volte non riusciamo». Il prossimo e ambito passo è quello di avere una sede operativa. «Abbiamo fatto la richiesta al Comune – sottolinea Riccobene – per un bene confiscato, presentanto un progetto che faccia prevenzione e che possa avere impatto sul territorio, creando magari un distretto sensibile sul tema. Partire dalla strada per ampliare il raggio, insomma».
Con la certezza che, di fronte alla mole spropositata di offerta che contrappone l’industria dell’azzardo e favorita da una precisa volontà statale, la questione è ampia a lungo raggio. «Diciamocelo chiaramente – sbotta Nicolicchia – dal punto di vista numerico i giocatori patologici non saranno neanche così tanti, il problema è il fenomeno sociale. Per ogni giocatore patologico ce ne sono 500 problematici».
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