Autismo, un business da migliaia di euro Il modello alternativo di Special Children

Una malattia dalla quale non si guarisce, che in Italia ha un’incidenza di un caso ogni 150 e sul quale si innesta un business da migliaia di euro. L’autismo non ha cause e diagnosi ben definite, e non tutte le persone affette hanno caratteristiche uniche, tanto che oggi si preferisce parlare di «spettro autistico», spiega Laura Pepe, presidente dell’associazione catanese Special children. Pedagogista (specializzata in Aba verbal behavior), «seguiamo molti piccoli; su 18 in totale, sei hanno circa tre anni. Almeno un nuovo bambino alla settimana viene portato al nostro centro, anche da fuori della provincia etnea». Una soluzione potrebbe venire dalla consegna di un centro specifico, a Canalicchio, già completo ma chiuso da due anni in attesa dei collaudi, e dagli effetti di una legge nazionale approvata solo ieri dalla commissione Igiene e sanità del Senato. 

«Di autismo si nasce, si cresce e si muore. Di cure definitive non ce ne sono – afferma categoricamente Pepe -. Catania è una provincia dove si fa tanto – tiene a sottolineare -. Ogni distretto dell’Azienda sanitaria provinciale ha dei referenti, neuropsichiatri esperti nell’autismo. C’è anche un gruppo dedicato». Ma, continua la presidente, «l’Asp non può abbracciare questo bacino così grande. Non ci possono essere interventi educativi individualizzati». Così alle famiglie etnee non resta che rivolgersi agli specialisti. Per terapie con dei costi notevoli che – nonostante possano essere poi detratti dalle tasse – pesano come macigni sulla quotidianità. Alcuni professionisti chiedono tra i 36 e i 45 euro per tre quarti d’ora di assistenza. «Molti colleghi propongono piani con trenta ore alla settimana di terapia, ma una famiglia non può affrontare spese di questo genere. C’è gente che ipoteca la casa», racconta Pepe. 

Per questo l’associazione ha scelto un approccio diverso. Le socie – cinque professioniste tra i 30 e 40 anni – lavorano con un costo base di 20 euro l’ora. «Formiamo genitori e docenti – spiega Pepe -, creiamo un progetto che ruota attorno al bambino». Riducendo così le ore da dover passare assieme alle terapiste. Perché, «se devo migliorare la qualità di vita della famiglia, non posso distruggerla economicamente». E non solo. «Non si può sempre delegare agli altri – continua la presidente – Non chiediamo ai genitori di fare i terapisti, chiediamo loro di compiere il proprio ruolo, andando incontro alla vera dimensione dei figli».

E non ai «modelli che ogni genitore vuole applicare». Perché, assieme a pregiudizi e luoghi comuni, nel campo dell’autismo «oggi, ci sono molte mode». L’ultima, in ordine cronologico, riguarda il presunto legame con la vaccinazione. «Da trent’anni si cerca di dare un taglio agli studi. Negli ultimi dieci anni si sono fatte molte ricerche e tante cose interessanti sono venute fuori». Ma la scienza non ha ancora individuato le cause determinati della malattia. Intanto però, dall’associazione, l’invito alle famiglie rimane sempre lo stesso: «Far vivere fuori i figli». Per questo l’associazione porta avanti progetti di integrazione sportiva con alunni normodotati delle scuole Pestalozzi e Caronda – con i quali sono stati fatti anche dei grest estivi – e il Calcio Catania ha finanziato un progetto di pet therapy che ha coinvolto 17 ragazzi dell’associazione.

«Non bisogna dimenticare che sono bambini – precisa con forza l’esperta – Amano vivere, uscire, stare con altre persone. Abbiamo dei casi gravi, ma anche loro amano divertirsi. E non è vero che a tutti non piace il contatto o che si allontanano». Un preconcetto che spesso parte, ancora una volta, dentro lo stesso nucleo familiare. «Molti amano ghettizzare i propri figli, perché è più facile dire “Abbiamo tanti diritti, ma lo Stato e le istituzioni ci aiutano poco” piuttosto che affrontare certe cose. E invece sarebbe più utile dire: “Mio figlio è autistico, tante cose non gli vengono date, proviamo a dargliele noi”».


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