Primato della Sicilia per numero di Comuni sciolti per mafia «Gli elettori devono spezzare i rapporti tra politica e clan»

La forza delle mafie sta fuori dalla mafie. In particolare, nei rapporti con i rappresentanti del mondo politico. Come emerge nel report Le mani sulle città di Avviso pubblico che, in occasione dei trent’anni di applicazione della legge, fa il punto sullo scioglimento degli enti locali per infiltrazioni mafiose. Quattordici in tutta Italia nel corso del 2021, di cui quattro in Sicilia: Barrafranca (Enna), Bolognetta (Palermo), Calatabiano (Catania) e San Giuseppe Jato (Palermo). Un numero che fa dell’Isola la prima regione a pari merito con la Calabria e la Puglia, seguita dalla Campania dove sono due i Comuni sciolti per mafia

Dal 1991 a oggi la Sicilia è al terzo posto tra le regioni con 89 scioglimenti (superata solo dalla Campania, dove sono stati 113 gli enti locali sciolti per mafia, e dalla Calabria che ha il primato con 127). Ci sono poi i casi degli scioglimenti plurimi, cioè degli enti locali che sono stati sciolti in più di un’occasione: in Sicilia sono 15. E anche in questo caso hanno fatto peggio solo la Campania (con 27) e la Calabria (con 28). Oltre ai Comuni sciolti nel corso dello scorso anno, in Sicilia sono ancora in gestione straordinaria anche San CipirelloMezzojusoPartinico (in provincia di Palermo), Maniace (Catania), Tortorici (Messina). «Quella delle mafie – scriveva Pio La Torre alla fine degli anni Settanta – è una questione di classi dirigenti». Ovvero, una questione che ha a che fare con il potere e con coloro che lo detengono. E sono diverse le inchieste che hanno dimostrato che non può esistere mafia senza rapporti con la politica. «Ma può e deve esistere una politica senza alcun rapporto con le mafie – dicono da Avviso pubblico – Bisogna spezzare i rapporti tra mafie e politica ed è una responsabilità non solo degli apparati repressivi, ma anche delle forze politiche e dei cittadini elettori». 

Tra i casi approfonditi nel report c’è anche quello di San Giuseppe Jato dove «l’inquinamento elettorale è avvenuto, oltre che con il sostegno diretto agli esponenti prescelti, anche con intimidazioni nei confronti di altri candidati». Un inquinamento che va oltre la fase della campagna elettorale. Ripercorrendo le relazioni prefettizie sullo scioglimento dei Comuni siciliani, emergono anche i ruoli svolti dagli amministratori locali e dai dipendenti comunali: coinvolgimenti in inchieste giudiziarie, collusioni, scelte amministrative inquinate dalle organizzazioni criminali, parentele e frequentazioni con soggetti appartenenti o vicini ai clan mafiosi. In particolare, a Barrafranca sarebbero otto gli amministratori locali coinvolti a vario titolo e 13 gli appartenenti all’apparato burocratico; due amministratori e un dipendente a Calatabiano mentre i numeri si fanno più alti nel Palermitano: tredici amministratori locali coinvolti sia a Bolognetta che a San Giuseppe Jato, mentre i dipendenti sarebbero rispettivamente 26 e 31. 

In ogni caso, lo scioglimento di un ente locale per infiltrazioni mafiose non ha un valore sanzionatorio ma è una misura straordinaria di prevenzione «fondata sulla necessità – si legge nel report – di evitare con immediatezza che l’amministrazione locale rimanga permeabile all’influenza e alle pressioni della criminalità organizzata». Dunque, questo significa che è un provvedimento che non presuppone la commissione di reati da parte degli amministratori né l’esistenza di prove inconfutabili sui collegamenti tra l’amministrazione e le mafie. Sciogliere un ente locale serve, infatti, a combattere l’invasività del fenomeno mafioso e a rimediare a situazioni patologiche causate da un’accertata diffusione sul territorio della criminalità organizzata. «Non è necessario provare la consapevolezza degli amministratori locali in ordine ai benefici di cui hanno usufruito i clan malavitosi – sottolineano da Avviso pubblico – essendo sufficiente dimostrare l’assenza di adeguate contromisure adottate dall’amministrazione». Sul tema sono attualmente in discussione tre proposte di legge alla commissione Affari costituzionali della Camera che ha già svolto un ciclo di audizioni coinvolgendo esperti, docenti e associazioni. 


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