La posizione dei sindaci sulla vendita di gadget mafiosi «Espressioni di subcultura, ma non servono le multe»

È uno di quegli argomenti che periodicamente torna, attirando indignazione ma anche reazioni più compiacenti, un po’ tendenti al benaltrismo. Ci sono le visite guidate a tema, i gadget, ma anche le insegne dei locali e i prodotti enogastronomici, tanto all’interno dell’isola quanto all’estero. Un’offerta tanto varia quanto legata dalla stessa strategia – quanto ancora oggi redditizia non è chiaro – di marketing: associare la Sicilia a Cosa nostra. O, più genericamente, alla mafia. Con il turismo in ripresa dopo lo stop forzato legato al Covid, ieri a fare discutere è stata un’ordinanza firmata dal sindaco di Cinisi (Palermo) Gianni Palazzolo. Il primo cittadino del paese in cui è nato ed è stato ucciso Peppino Impastato ha vietato la vendita di «qualsiasi tipo di oggetto, souvenir, gadget che inneggi o semplicemente richiami in termini positivi alla mafia ed alla criminalità organizzata in genere». Per i trasgressori è prevista una multa da cento a cinquecento euro.

«La vendita dei suddetti prodotti commerciali nel territorio di questo comune – si legge in una delle premesse del provvedimento – mortifica la comunità cinisense, da anni impegnata nella diffusione della cultura della legalità e nel contrasto alla mafia». Il sindaco, inoltre, ha specificato che «l’attività è da ritenere, anche nell’ipotesi in cui – specifica l’ordinanza – non integri fattispecie di reato, pericolosa poiché alimenta una subcultura mafiosa, tristemente ancora presente in certi strati dalla società». La posizione di Palazzolo, per quanto condivisa nel merito, non sembra destinata a fare da traino a iniziative simili. «Qui a Taormina qualche anno fa ha fatto scalpore il caso della pasticceria che aveva dato ai dolci nome come Mafioso al pistacchio – ricorda il sindaco Mario Bolognari -. All’epoca promisi di provare a convincere l’ideatore di modificare la denominazione, ma non mi risulta sia stato fatto. In ogni caso sinceramente non credo siano temi che si possano affrontare a colpi di ordinanze, semmai testimoniano forme culturali di scadentissimo valore che vanno contrastate con operazioni di civiltà. Spiegando anche ai turisti – continua Bolognari – i tanti mali causati dalla criminalità organizzata in Sicilia e non solo». 

Il sindaco di Taormina ne fa anche una questione di legittimità. Una riflessione che richiama le critiche indirizzate all’ultima ordinanza del presidente della Regione Nello Musumeci in materia di vaccinazioni. «Davanti a un giudice non credo sarebbe facile certificare la trasgressione, perché spesso ci troviamo davanti a gadget di poco valore ma che si rifanno a opere artistiche. Il trasgressore immagino si difenderebbe dicendo di avere semplicemente esposto un pezzo che a suo modo rappresenta una citazione». E a proposito di citazioni a Savoca, piccolo borgo del Messinese, ce ne sta una che ogni giorno attira gli appassionati di cinema: il bar Vitelli, il locale scelto da Francis Ford Coppola per una delle scene de Il Padrino, l’opera cinematografica più conosciuta al mondo tra quelle che hanno portato la mafia siciliana sul grande schermo. All’esterno del bar campeggia ancora oggi l’insegna ripresa dalla cinepresa del regista statunitense. Poco distante non mancano i gadget con il volto di Marlon Brando nei panni di don Vito Corleone. «Quello della vendita dei souvenire non è un problema che mi sono mai posto e come me chi mi ha preceduto – commenta il primo cittadino Massimo Stracuzzi -. Il motivo è semplice: Savoca è apprezzato per essere uno dei borghi più belli della Sicilia e noi cerchiamo di veicolare la sua bellezza e la sua importanza culturale. Nulla a che fare con mitologie mafiose. E comunque – conclude il sindaco – credo che anche il turista straniero che compra quel gadget non lo fa per portarsi a casa un oggetto che inneggia alla mafia, quanto per avere un souvenire che richiama uno dei film più rinomati della storia del cinema».

Ad Agrigento, altra meta di sicuro richiamo per il turismo, il problema non ce lo si pone perché a quanto pare non esiste. «Non mi sono mai arrivate segnalazioni di questo tipo, i gadget dalle nostre parti sono tutti incentrati sulle nostre bellezze culturali, sulla valle dei Templi», assicura il sindaco Francesco Miccichè. Che poi a precisa domanda su cosa farebbe nel caso in cui dovessero sbucare fuori magliette e calamite con richiami alla mafia, risponde: «Interverrei in maniera decisa sicuramente, ma sulle modalità dovrei confrontarmi prima con gli uffici». Chi invece ha per decenni legato il proprio nome a Cosa nostra è invece proprio Corleone. Il paese, che ha dato i natali a molti dei sanguinari boss che hanno scritto le pagine più buie della storia criminale siciliana, ancora oggi fa i conti con il peso di un’immagine che è difficile scrollarsi di dosso. «Io non sono del parere di inseguire queste cose, semmai dobbiamo dimostrare con i fatti che la mafia appartiene alla cronaca storica di Corleone ma che è in fase di esaurimento rispetto a una volta – dichiara il sindaco Ciccio Nicolosi – Poi c’è ancora chi ne parla ancora, ma questo non lo si può impedire minacciando le multe, bisogna lavorare sulla cultura». Nicolosi ammette di non essersi mai confrontato con i commercianti che in paese hanno qualche gadget dall’etichetta equivoca. «Sinceramente non lo ritengo importante – commenta – noi stiamo pensando a un progetto che possa valorizzare le storie positive del territorio, degli impegni antimafia, e su questo costruire un progetto di attrattiva turistica».


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