Mafia, la venerazione del capo davanti al poliziotto «Devoto a lui comu u catanisi è devotu di Sant’Aita»

«Qual è il problema? Iu sugnu devotu comu u catanisi è devoto di sant’Aita». Lontano dalla santità e per i magistrati della Dda il volto nuovo di Cosa nostra a Caltanissetta, Carmelo Bontempo poteva vantare la fedeltà dei propri uomini. L’uomo, 42 anni, è stato arrestato ieri nel blitz della polizia denominato Bella vita, con l’accusa di associazione mafiosa dedita alle estorsioni e al traffico di sostanze stupefacenti, tra cui importanti quantitativi di cocaina. Per gli inquirenti è un boss. E il giudizio si basa anche dal peso che gli viene riconosciuto dai suoi sodali. Su tutti Giovanni Puzzanghera. «Insieme abbiamo deciso di diventare amici, insieme di diventare fratelli, insieme di farci arrestare e insieme di farci la galera – dice l’uomo, in dialetto, senza sapere di essere intercettato – Non c’è persona o legge che può dirmi di non vederlo». Puzzanghera racconta di non averci pensato due volte a ribadire il legame con Bontempo, anche davanti a un agente della polizia, giunto alla sua porta per una notifica.

Ciò di cui, invece, i due – e con loro gli altri componenti della cosca arrestati – avevano mostrato timore, nei mesi scorsi, erano una retata. Per capire a fondo il motivo bisogna tenere in considerazione un fattore: le misure cautelari emesse nei giorni scorsi dalla gip Alessandra Maria Maira, nel 2019 erano state rigettate perché collegate a reati commessi tra il 2012 e il 2015. Ciò ha portato gli investigatori guidati da Marzia Giustolisi – che con questa operazione saluta la squadra mobile e il cui posto sarà preso da Nino Ciavola – a riavviare le indagini a partire dall’ottobre dell’anno scorso. 

Da subito, si è capito che lo scenario criminale era rimasto immutato, anzi, se possibile, la leadership di Bontempo spiccava ancora di più. «Ma di qualsiasi cosa mi pono accusà, ma arrivari a trasiri l’antimafia, è na cosa esagerata», lamentava il capo della cosca in merito alla notizia che l’indagine sul proprio conto era stata condotta dai magistrati della Dda nissena e stupendosi che l’accusa riguardasse, in quel momento, il traffico di stupefacenti e non soltanto lo spaccio. Dalle intercettazioni si ricava l’immagine di un uomo che vacilla tra la convinzione di non avere commesso passi falsi – «m’è mangiatu i fogli di carta», dice Bontempo facendo riferimento, secondo l’accusa, ai pizzini – e la sensazione che l’ipotesi di un arresto sia tutt’altro che campata in aria. 

Sarebbe anche per questo che il 4 marzo, Bontempo, Puzzanghera e gli altri si riuniscono in una casa in campagna per discutere di come fare più soldi possibili in breve tempo. «Mi devo mettere dieci euro di lato, perché lì dentro fame non ne farò», dice in un’occasione il capo, facendo riferimento, secondo gli inquirenti, alla cella in cui potrebbe finire. Le forme di sostentamento del clan erano quelle tradizionali: dalla droga da vendere a tappeto, dopo averla comprata da soggetti napoletani, alle estorsioni. A essere taglieggiati sarebbero diversi soggetti, tutti intimoriti dalla tracotanza di Bontempo. Dagli imprenditori edili al titolare di una sala ricevimenti, costretto a mettere a disposizione, gratuitamente o a prezzi molto scontati, il locale per i festeggiamenti del clan. La sua leadership si sarebbe affermata anche di fronte a esponenti più anziani come Giuseppe Dell’Asta, costretto – a dire di Puzzanghera – ad andare a scusarsi per il comportamento irrispettoso tenuto dal figlio, colpevole di avere fissato con lo sguardo Bontempo all’ingresso di un bar.

Affiliato a Cosa nostra dall’ergastolano Giovanni Gelsomino, di cui era un carusu fidato, Bontempo vanta un curriculum criminale di primo piano. Nel 1995, ancora minorenne, uccise un 18enne dopo una banale lite in discoteca. Dalle indagini emerse che la vittima fu attirata vicino al cimitero di Caltanissetta, con la scusa di chiarire la discussione avuta nei giorni precedenti. In realtà, si trattava di una trappola: Bontempo aveva infatti nascosto dietro a un cespuglio un fucile, con cui sparò due colpi al 18enne. Il primo al fianco, il secondo alla testa. Condannato per omicidio, non ancora 28enne uscì dal carcere beneficiando dell’indulto. 

La libertà per il giovane durò tuttavia poco: pochi mesi dopo, il giorno di Natale, Bontempo venne nuovamente arrestato insieme a Puzzanghera, dopo essere stati trovati insieme con quasi tre chili di eroina. Per quei fatti, Bontempo trascorrerà altri sei anni in carcere. «La pressoché ininterrotta detenzione durata circa quindici anni – si legge nell’ordinanza di custodia cautelare – spiega la ragione per la quale non è stato menzionato dai collaboratori di giustizia che hanno illustrato le dinamiche della famiglia mafiosa di Caltanissetta». Un riconoscimento, quello dei pentiti, che per Puzzanghera non è necessario. «Un numero uno, uno sintimintusu», dice l’uomo in una delle tante volte in cui tesse le lodi del proprio capo.


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