La catena di omicidi incrociati tra Favara e il Belgio «L’inferno deve iniziare». «Ora ci piangono i bimbi»

Come tessere messe in fila che cadono, una dopo l’altra, per una reazione a catena lineare. L’effetto domino potrebbe spiegare la serie di eventi correlati tra loro che si sono susseguiti nel biennio 2016-2018 tra Favara (in provincia di Agrigento) e il Belgio. Cinque omicidi e due tentati omicidi per cui ieri, nell’ambito dell’operazione Mosaico, sono finite in carcere sette persone. Un gruppo coeso attorno al traffico di sostanze stupefacenti sull’asse Belgio-Favara si spacca dando via a una faida interna che provoca una lunga scia di sangue. «Ce la facevano tutti cosi n’semmula», ovvero facevano tutto insieme. Fino a quanto, non avviene la frattura. Tutto comincia nell’autunno del 2012 quanto Maurizio Distefano – detto Furia per via della sua natura violenta – presta una ingente somma di denaro a Carmelo Bellavia, detto Melu Carnazza, per consentirgli di avviare un’attiva di vendita di bibite all’ingrosso. Il tempo passa e Bellavia non restituire i soldi e non paga nemmeno un debito di droga. È il 2015 quando cade la prima tessera: Bellavia viene ucciso a Favara da Distefano e da Carmelo Ciffa

La prima reazione della catena
Il primo anello della vendetta dei Bellavia nei confronti dei Furia è del 14 settembre del 2016. Sono le 20.30 quando in rue Saint Julien nella città di Liegi, in Belgio, avviene una sparatoria. A perdere la vita è Mario Jakelich. Il vero obiettivo dell’agguato è però Maurizio Distefano che viene trovato sul marciapiedi ferito con cinque colpi d’arma da fuoco (due al torace, uno alla coscia, uno al fianco e uno al gluteo). È lui a raccontare poi che i killer erano già nell’appartamento quando lui e Jakelich rientrano: sentiti i primi spari, Distefano si lancia dalla finestra e, una volta in strada, viene colpito dai proiettili nella parte posteriore del corpo. Le indagini della polizia – sia belga che italiana – individuano come responsabili Calogero Bellavia, Antonio Bellavia, Carmelo Vardaro e Emanuele Ferraro. A ricostruire le tessere sono anche le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Giuseppe Quaranta: «Un corpu ‘ntesta l’avia a pigghiri (un colpo in testa avrebbe dovuto prenderlo, ndr)». E, invece, «tanto è stato fortunato: pi iddi (per loro, ndrera morto, invece era svenuto». È il primo attentato a cui sopravvive Distefano. «Deve finire Antò questo inferno», dice ad Antonio Bellavia sua moglie. «Ancora deve cominciare», ribatte lui manifestando ulteriori propositi omicidiari. 

L’incipit della vendetta locale
A poco più di un mese dall’agguato di Liegi, il 26 ottobre del 2016, intorno alle 13 in pieno centro a Favara viene ucciso Carmelo Ciffa. È il proseguo della catena della vendetta. Ciffa, oltre a essere ritenuto l’esecutore materiale dell’omicidio di Carmelo Bellavia (la prima tessera caduta del domino), è anche uno dei maggiori esponenti del fazione di Distefano. Stava lavorando per espiantare una palma davanti a un supermercato – tra via Cina e corso Vittorio Emanuele – quando viene raggiunto da diversi colpi d’arma da fuoco sparati da due killer (poi identificati nei cugini Antonio e Calogero Bellavia) arrivati a bordo di uno scooter con il volto coperto con il casco integrale.

Il secondo anello belga
Passano sette mesi e arriva la prima ritorsione da parte del gruppo capeggiato da Maurizio Distefano (che conta già due vittime – Ciffa e Jakelich – e un ferito, lo stesso Distefano) nei confronti della frangia Bellavia. Baldassarre Sorce, detto Rino, viene ucciso il 3 maggio del 2017 a Sclessin (un sobborgo di Liegi, in Belgio), in rue Ernest Solvay, vicino al suo bar Café Grande Fratello. Stando a quanto ricostruito dagli inquirenti, la vittima avrebbe accusato Distefano di avere violentato una bambina. Qualche giorno prima di essere ammazzato, tra l’altro, era stato citato per essere sentito dalla polizia belga come testimone nell’ambito delle indagini sull’omicidio Jakelich e del tentato omicidio di Distefano. Sorce, infatti, sarebbe stata una delle ultime persone ad averli incontrati. 

L’anello d’acqua
Appena venti giorni dopo l’omicidio di Sclessin, il 23 maggio del 2017, in pieno centro a Favara si torna a sparare. Maurizio Distefano riesce a scampare per la seconda volta all’omicidio pianificato nei suoi confronti. «Guarda che abbiamo fatto acqua», dice uno degli autori mentre parla al telefono. La concatenazione di eventi efferati va avanti con il tentato omicidio di Carmelo Nicotra. L’uomo, ritenuto uno dei più fedeli del gruppo di Furia, rimane ferito al gluteo destro dall’«impressionante volume di colpi di arma da fuoco esploso nei suoi confronti». I killer (individuati dalle immagini delle telecamere di videosorveglianza e da alcune cicche di sigarette in Emanuele Ferraro, Antonio Bellavia, Calogero Bellavia e Carmelo Vardaro) lo danno per morto. Dalle tracce di sangue, gli inquirenti ricostruiscono che pure Distefano è rimasto ferito. Dal garage Nicotra esce zoppicando e si fa accompagnare fuori città da uno sconosciuto. In una contrada di campagna viene notato da una giovane coppia che chiama il 118. Al pronto soccorso dell’ospedale San Giovanni di Dio di Agrigento arriva intorno alle 00.46, circa due ore e mezza dopo l’agguato. Ricoverato, viene sottoposto ad alcuni interventi chirurgici ma non fornisce alcuna indicazione utile alle indagini. Anzi, come si legge nell’ordinanza, «inizia la sua opera di depistaggio mentendo ripetutamente». Eppure da una conversazione intercettata nella sua stanza di degenza emerge che «li ha visti: era padre, figlio e spirito santo. Guarda che mio cognato li ha visti negli occhi e mi ha aperto gli occhi a me», dice il cognato di Nicotra al cognato di Distefano.  

Le ultime tessere
Prosegue l’organizzazione delle vendette incrociate: «Un tuo cugino – dice il cognato a Nicotra – ha chiamato tua madre con la videochiamata: “Ora ci piangono persino i bambini […] Devono scendere qua loro e un’altra cinquantina, si devono organizzare giusti”». È ancora dalle intercettazioni ambientali in ospedale che emerge il verosimile tentato omicidio di Calogero Bellavia (il figlio di Carmelo). Un episodio che, in realtà, non è mai stato denunciato perché, sostengono gli inquirenti, «i soggetti coinvolti avrebbero preferito farsi giustizia da soli». Carmelo Nicotra parla sempre con suo cognato dalla stanza della degenza e manifesta la preoccupazione che la fazione avversa possa avere visto un’auto nel suo garage e possa collegarla a quella usata per l’attentato a Calogero Bellavia. Intanto, l’8 marzo del 2018, come ritorsione del gruppo Distefano per l’agguato a Nicotra, a Favara viene ucciso Emanuele Ferraro. Cinque colpi d’arma da fuoco alle 9.30 del mattino raggiungono Ferraro mentre è, sotto casa in via Diaz, all’interno dell’auto che non è ancora riuscito a mettere in moto.


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