La joint venture tra le cosche di Catania e Mazara Un accordo d’oro per il contrabbando del gasolio

Sicilia coast to coast. Gli affari della criminalità organizzata nel contrabbando di carburanti rimbalzavano da una parte all’altra dell’isola. L’ultima istantanea è stata scattata ieri con l’operazione Vento di scirocco della Direzione distrettuale antimafia che ha portato all’arresto di quindici persone. E se il centro nevralgico dell’associazione a delinquere individuata dai magistrati era a Catania, in particolare in una macelleria per lungo tempo servita come punto d’incontro per gli uomini del clan Mazzei, è a Mazara del Vallo che il gruppo guidato da Angelo Privitera, detto Scirocco, avrebbe avuto lo snodo fondamentale per lucrare sulla commercializzazione del gasolio tramite le società riconducibili al 41enne Sergio Leonardi. Imprenditore del settore ma anche genero del boss Pippo Sciuto Tigna.

Ed è nella città del Trapanese, un tempo feudo del capomafia Mariano Agate, che Leonardi e soci avrebbero trovato un interlocutore importante: Francesco Burzotta. Di lui gli inquirenti sottolineano le parentele più strette: il 59enne è infatti fratello dell’uomo d’onore Diego Santino Burzotta, ma anche di Giuseppe, in passato consigliere comunale e arrestato – ma dopo assolto – con l’accusa di curare per Cosa nostra la gestione degli appalti pubblici nell’amministrazione comunale mazarese. Lo stesso Francesco Burzotta in passato è stato coinvolto in indagini riguardante un omicidio.

Nel 2016, tuttavia, i catanesi lo cercano per un altro motivo, fare da tramite con i titolari del deposito fiscale di combustili Pinta Zottolo. La mattina dell’8 ottobre, gli investigatori monitorano un incontro in un rifornimento di benzina in via Montenero tra quattro persone: Burzotta, Leonardi, lo zio di quest’ultimo e braccio destro di Privitera, Carmelo Munzone, e uno dei figli del boss Pippo Tigna. Secondo i magistrati della Dda, tema dell’incontro sarebbe stato Salvino Pinta, vicepresidente della Pinta Zottolo spa. Il deposito di combustibili, infatti, da lì a poco sarebbe diventato uno dei principali luoghi di approvvigionamento di gasolio per i catanesi. Fonte da cui lucrare illeciti guadagni attraverso l’aggiramento delle normative riguardanti le accise e l’imposta sul valore aggiunto. L’Iva. 

Il metodo è presto detto: sfruttando la complicità degli imprenditori trapanesi, Leonardi sarebbe riuscito a fare risultare il gasolio proveniente da Pinta Zottolo come carburante per uso agrario. Il cosiddetto gasolio verde. Chimicamente, rispetto a quello per autotrazione, non ci sono differenze, ma la diversa destinazione – l’uso nelle attività agricole, per l’appunto – fanno sì che lo si possa acquistare sfruttando l’Iva agevolata al dieci per cento. Un vantaggio di cui il gruppo criminale avrebbe approfittato per accumulare somme illecite. Il piano era perfezionato da presunti documenti falsi ma anche da luoghi di destinazione fittizi: tra essi, per esempio, gli inquirenti hanno individuato i Consorzi agrari interprovinciali di Catania e Messina. In realtà, però, il gasolio sarebbe stato dirottato in comuni stazioni di rifornimento.

Il meccanismo si inceppa però a dicembre quando il tribunale di Marsala ordina il sequestro della Pinta Zottolo. Non sarà l’unica inchiesta a travolgere il deposito del Trapanese. La stessa società, infatti, è stata coinvolta nell’indagine Dirty Oil sui traffici di gasolio nel Mediterraneo e il sospetto che il carburante di provenienza illecita arrivasse anche dalla Libia. Dalle carte dell’inchiesta, emerge che in seguito al sequestro Leonardi ma anche altri soggetti interessati con base a Roma e in Campania avrebbero ambito a rilevare la gestione del deposito di carburante dall’amministrazione giudiziaria. Un proposito che, nel caso dell’imprenditore catanese, porta l’esponente dei mazzei Angelo Privitera a sottolineare i rischi insiti all’esporsi in modo così diretto. Lo stesso Privitera che, quando ancora gli affari con Pinta Zottolo erano caldi, preferiva seguire le vicende a debita distanza: «Ma tuo cugino perché non è voluto scendere a Mazara?», chiede uno Burzotta a Munzone. La risposta intercettata dagli inquirenti è netta: «Hanno avuto problemi, non lo vedi che li stanno arrestando a tutti?». Profezia che per avverarsi avrebbe dovuto attendere tre anni o poco più. 


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