I conti in rosso, le colpe, lo stato di salute della Regione Tra le versioni di Musumeci e di Miccichè c’è un abisso

«Il clima nell’Ente regionale sta lentamente cambiando, c’è più entusiasmo, più voglia di fare tra i dipendenti. C’è desiderio di riscatto, buona parte del personale ha trovato la motivazione, la voglia di essere coprotagonista di una stagione di rilancio. È un percorso lungo, nessuno si fa illusioni sulla sua durata, dopo decenni di trascuratezza e omissioni.». A parlare, questa volta, è il presidente della Regione Nello Musumeci, che ha convocato i giornalisti per i tradizionali auguri di fine anno. Un paio d’ore di «differita» rispetto agli auguri di Miccichè. Un giardino, quello di piazza Indipendenza, che separa palazzo dei Normanni, sede dell’Assemblea Regionale, da Palazzo d’Orleans, sede della presidenza della Regione. Eppure sembra che i due raccontino due Regioni differenti. L’una, quella di Miccichè, fatta di dipendenti stanchi e demotivati, di uffici con carenza di organico e di innumerevoli pratiche da evadere. L’altra, quella di Musumeci, fatta di funzionari motivati e propositivi.

«Non facciamo l’errore di minimizzare la parifica» è stato il monito di Miccichè. «La condizione finanziaria della Regione – sono invece le parole di Musumeci – sarà un elemento che limiterà, per fortuna, solo la spesa corrente e non quella per gli investimenti: dovremo necessariamente operare tagli per un anno, forse per due, poi andremo in pianura se non in discesa». Due facce della stessa medaglia, mentre la Sicilia si prepara all’ennesimo periodo di lacrime e sangue. L’emergenza, ancora una volta, restano i Comuni, che rischiano di subire tagli enormi. «Al governo nazionale – assicura Musumeci – chiederemo non elemosine, ma di prendersi in carico il problema degli enti locali, che vivono una condizione di assoluta gravità. Serve una riforma della finanza locale in Sicilia».

È un Nello Musumeci serafico, quello che si mostra alla stampa in un momento molto complicato. Non cede alle polemiche, non ammicca alla battuta all’avversario, cerca di non alzare i toni in alcun modo. A chi gli fa notare che il quadro da lui descritto si discosta di molto da quello dipinto dal primo inquilino di Sala d’Ercole, replica tagliando corto: «Concordo al cento per cento con il presidente Gianfranco Miccichè, ha ragione quando dice ci vuole più Stato, ma lo Stato è distratto. Io ci vado a Roma, ma vado solo per compiere una missione».

Sullo scaricabarile tra centrodestra e centrosinistra sulle responsabilità del disavanzo, Miccichè aveva tagliato corto: «La dico in maniera brutale: quando c’era la sifilide, il medico non cercava la puttana che aveva causato il contagio, curava il malato. Ecco, da questo momento non interessa più a nessuno di chi siano le responsabilità della situazione». Ma appena un paio d’ore dopo, Musumeci rilancia: «Sapevamo che avremmo trovato strade in salita: non sono abituato a scaricare sugli altri la responsabilità sul presente che appartiene al presidente della Regione e al suo governo, credo di avere diritto di rivendicare che il punto di partenza era assolutamente diverso da quello di una condizione di normalità. Sono stati due anni di semina che sembra avviata alla chiusura». Versioni parallele, che raccontano due storie differenti. In mezzo l’Ars. Che dovrà assumersi la responsabilità di operare il taglio più difficile che un bilancio siciliano abbia mai dovuto subire.


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