Gela, i propositi vendicativi di Moscato e Cassarà «A Catania è possibile reperire una pistola pulita»

«Gli mangerei il cuore, piano piano». Detto in dialetto stretto e con il fastidio di chi realizza di essere stato molto probabilmente scoperto, per colpa di qualcuno che ha parlato, scombinando i lucrosi piani portati avanti fino a quel momento. A pronunciare la frase è il 42enne Gaetano Cassarà, l’imprenditore arrestato nei giorni scorsi a Gela con l’accusa di avere rivenduto l’acqua comunale ai privati, grazie alla complicità di Rosario Moscato, 52enne dipendente comunale, finito con Cassarà ai domiciliari.

Nel mirino delle ire di Cassarà ci sarebbero stati alcuni impiegati comunali che, a differenza di Moscato, avrebbero messo i bastoni tra le ruote del titolare della Piergiu Srls, società attiva nel settore della rivendita dell’acqua trasportata con le autobotti, attività di considerevole importanza in un territorio non di rado alle prese con la crisi idrica. Stando alle indagini della guardia di finanza, i due indagati avrebbero approfittato del punto di erogazione di viale Enrico Mattei, in contrada Macchitella. Lì, infatti, c’è un punto di rifornimento che ufficialmente sarebbe a disposizione soltanto del Comune, dei vigili del fuoco e di quei privati che precedentemente hanno pagato la tariffa disposta dall’ente. Cassarà, invece, da anni avrebbe beneficiato della possibilità di accaparrarsi l’acqua pagando un compenso soltanto a Moscato, che avrebbe intascato i soldi. Circa 300-400 euro al mese, secondo gli investigatori.

Tra febbraio e marzo, gli approvvigionamenti sarebbero stati numerosi. In alcune fasi quotidiani e anche più volte al giorno. Un’attività costante, resa possibile dal possesso da parte di Moscato delle chiavi per avviare le erogazioni. Il dipendente comunale, infatti, in passato ha lavorato nel settore Ambiente, esperienza che gli avrebbe dato la possibilità di ereditare le chiavi e forse anche qualcosa in più. Gli inquirenti sono convinti che Moscato sia riuscito ad aggirare la sostituzione del lucchetto decisa dal Comune, dopo che la dirigente al Patrimonio aveva segnalato un «eccessivo costo relativo alla gestione dell’acqua» che l’ente acquista da Caltaqua. «Gli era stato verosimilmente possibile grazie all’apporto compiacente di altri dipendenti», si legge nell’ordinanza di custodia cautelare siglata dal gip Lirio Conti. E, in effetti, nelle ipotesi degli inquirenti, gli appoggi all’interno degli uffici comunali non sarebbero mancati. Per esempio, c’è un dialogo registrato in cui un collega di Moscato gli dice di avere sentito un terzo dipendente comunale dire che «pur non avendo problemi su ciò che faceva», Moscato avrebbe dovuto operare con cautela perché «qualcuno all’interno stava parlando».

È così che nei due indagati iniziano a sorgere i timori di potere essere seguiti. Moscato e Cassarà, che fino a quel momento avevano comunicato con squilli telefonici, iniziano a preferire i messaggi vocali su Whatsapp. Ma soprattutto cercano di incontrarsi soltanto quando dalle parti di viale Mattei non ci siano occhi indiscreti. E non sempre è così. «Prima di arrivare alla rotonda erano fermi, ho visto quest’auto e mi sono detto che avesse per essere ferma. Non appena hanno visto che li guardavo, si sono spostati e sono andati via», dice Cassarà a Moscato. 

L’imprenditore, in realtà, ci aveva visto bene: l’auto civetta era quella della guardia di finanza che, nel frattempo, era riuscita a installare videocamere nascoste e microspie a bordo delle auto usate dal dipendente pubblico. A questo punto, per quanto Moscato sostenga di non volere soffermarsi troppo su questi pensieri per evitare di «cascare malato», entrambi gli indagati si convincono di potere essere stati scoperti. Ed è per questo che Moscato immagina di chiedere a un avvocato quella che gli inquirenti definiscono «una scappatoia legale» per spiegare il proprio comportamento nel caso di un’indagine.

Di pari passo, però, avrebbe iniziato a prendere forma un proposito vendicativo. Da mettere in atto dopo le elezioni comunali – che si sarebbero tenute nel giro di pochi mesi – quando il commissario straordinario, insediatosi dopo la fine dell’esperienza amministrativa di Domenico Messinese, avrebbe lasciato la città. Moscato e Cassarà avrebbero addirittura pensato di procurarsi un’arma per rafforzare la propria capacità intimidatoria. I magistrati sospettano che a essersela procurata possa essere stato il primo. È lui, infatti, che il 22 marzo va a Catania. Il capoluogo etneo era stato citato in una conversazione alcuni giorni prima, quando Moscato aveva riferito a Cassarà di sapere che in quella città sarebbe stato relativamente semplice procurarsene una. «Basta chi su puliti, non usati per omicidi», avverte il rivenditore di acqua. Al che il dipendente comunale lo rassicura: «Chi c’entra, chissi i l’omicidi i fanu spariri, asinu».


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