Il gioielliere, i consiglieri, il ladro: la fila al fortino del boss «La gente viene, gli devo parlare, non li posso mandare»

«Io sono nato mafioso, a me non mi ha fatto nessuno. Mi devo vergognare che sono mafioso? No, non mi vergogno. Io ho scelto questa vita […] La gente viene, gli devo parlare, non li posso mandare». A Licata è difficile trovare qualcuno che non sappia chi sia Angelo Occhipinti, descritto dagli inquirenti come la diretta espressione della più feroce e pericolosa organizzazione criminale smantellata ieri dall’operazione Assedio. È lui stesso a descriversi così, pensando di non essere intercettato, a marzo 2018 all’interno del magazzino di via Palma, diventato il quartier generale del clan. Un jammer (disturbatore di frequenze) costantemente attivo, radio e televisione sempre accesi a volume altissimo e, davanti alla porta d’ingresso, cani di grossa taglia e fidati gregari (Angelo Graci e Salvatore Spiteri) a fare da vigilantes 24 ore su 24. 

Un immobile «fatiscente, privo di finestre e di idonei servizi igienici», dove il boss si è trasferito trasformandolo nel fortino in cui sarebbero avvenute le riunioni e gli incontri con chiunque avesse bisogno di lui per risolvere le questioni più disparate: il consigliere comunale Giuseppe Scozzari (indagato per concorso esterno all’associazione mafiosa) con l’obiettivo di saldare il «patto criminale» che gli avrebbe consentito di essere eletto; un aspirante ladro per avere l’autorizzazione a compiere un furto; un ex consigliere comunale per recuperare lo scooter che gli è stato rubato la notte prima; un gioielliere spaventato dopo avere ricevuto una lettera con delle cartucce; due ex detenuti per riappacificarsi; due sodali incapaci di recuperare i soldi da un imprenditore italiano in Germania.

Stando a quanto ricostruito dagli inquirenti, durante un «segmento di una ben più vasta attività di indagine in corso di svolgimento», l’uomo d’onore sembra avere sempre una soluzione per ogni circostanza e lo sanno tutti quelli che vanno nel covo. «Io sono venuto perché l’ultima volta ho subito una sorta di rimprovero. Ho una cosa per la testa. Si può fare o non si può fare?». La cosa che Calogero Forti (non indagato, ma con diversi precedenti per droga, lesioni, minacce e danneggiamento) ha per la testa è un furto da compiere a casa di una maestra in cui è certo ci sia «oro assai. È sola, è una signorina sui 50 anni, esce la mattina alle 8 e rientra alle 14. Si va a coricare senza chiudere il portone. Ce l’ho aperto, pulito, pulito». Un colpo che sembra facile da mettere a segno ma per cui bisogna chiedere l’autorizzazione. Occhipinti, stando a quanto emerge, avrebbe dato il proprio benestare raccomandando però di fare attenzione, perché «quando sei là dentro (in carcere, ndr) devi sapere che non hai a nessuno, devi contare sulle tue forze». E lo sa bene lui che, in galera, c’è stato per un trentennio.

Alla corte di Occhipinti, ad agosto 2018, sarebbe andato anche l’ex consigliere comunale di Licata Vincenzo Graci (non indagato) per chiedergli di interessarsi a ritrovare lo scooter che gli hanno rubato. «Senti Angelo, ti devo dire una cosa, però non voglio che ci rimani male. Lo sai il motorino rosso? Lo avevo lasciato fuori stanotte e stamattina non l’ho trovato. Appena vengo devo andare a fare la denuncia e la mettono di lato, giusto?». Sei mesi prima, a bussare alla porta del capomafia sarebbe stato un gioielliere per una richiesta di protezione dopo avere ricevuto una busta gialla con dentro delle cartucce. Per Occhipinti, che esclude uno scopo estorsivo, si tratta di «una questione di femmine. Da te non vengono, sanno che sei amico mio».

Accogliente con le richieste che arrivano dall’esterno, il boss fa anche da mediatore e da paciere per questioni interne. «O siete carne o siete pesce. Mi avete rotto la minchia, ora vi schiaccio la testa a uno a uno. Un po’ di iniziativa giusta quando la prendete? O siete malavitosi o siete brusca pane (lavoratori, ndr)». A essere messi davanti al bivio da Occhipinti sono il suo braccio destro Raimondo Semprevivo e un altro sodale. Rimproverati per il comportamento remissivo nei confronti di un imprenditore italiano che vive e lavora in Germania (per cui i due, in precedenza, avrebbero lavorato) colpevole di non volere pagare. «Quando c’è stata la discussione – suggerisce – dovevi prendere un pezzo di legno e gliele dovevi dare, gli spezzavi le gambe».


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