Il grido dell’Ucciardone in difesa di Radio Radicale «Non chiudete la nostra unica finestra sul mondo»

Questa mattina, per Rita Bernardini, inizierà il suo 25esimo giorno di digiuno. La ragione è nota: se da Roma non cambieranno le cose, il prossimo 21 maggio sarà l’ultimo giorno di trasmissioni per Radio Radicale. Così ieri, ancora una volta, è stato rinnovato l’appello affinché la sua voce non venga spezzata. Un appello partito da Palermo, nella giornata mondiale per la libertà di stampa, e all’indomani della mozione approvata all’unanimità dall’Assemblea regionale siciliana in favore di Radio Radicale. 

La visita della ex parlamentare nell’Isola non si è limitata alla conferenza stampa. Al contrario, nel pomeriggio gli esponenti del Partito radicale hanno visitato il carcere Ucciardone di Palermo, a partire dal padiglione in cui si trovano le celle di isolamento. «Sono due piani – racconta Bernardini a Meridionews -. Al piano terra si trovano i detenuti in isolamento diurno, che spesso arrivano lì per punizione. E poi c’è il primo piano, dedicato invece ai detenuti provenienti da altri istituti penitenziari. Definire le celle di isolamento fatiscenti – commenta – è assolutamente riduttivo. In un caso abbiamo persino trovato due detenuti nella stessa angusta cella. Senza contare che non c’è un solo scarico che funzioni e anche le docce sono in condizioni, diciamo così, che lasciano molto a desiderare».

Non va meglio guardando invece all’ora d’aria di chi – si potrebbe ritenere dall’esterno – dopo intere giornate tra quattro mura non vedrà l’ora di uscire all’aperto. «Non è così – replica ancora Bernardini – perché per il padiglione d’isolamento l’ora d’aria è rappresentata da una passeggiata in un corridoio angusto e fatiscente, con una rete sopra la testa. La maggior parte rinuncia alla propria ora e preferisce restare in cella. Purtroppo abbiamo registrato un grande disagio in quest’ala del penitenziario».

Diversa è invece la situazione nella parte recentemente ammodernata del penitenziario. «Lì le docce funzionano e le condizioni tutto sommato sono più vivibili – prosegue Bernardini -. I problemi in questo caso non sono strutturali, ma sociali. A partire dal fatto che dei 385 detenuti della struttura, appena un centinaio ha un lavoro, che spesso è proprio un servizio di utilità al penitenziario, mentre saranno una decina le persone che lavorano al pastificio. Per questa gente il lavoro è fondamentale – prosegue – è un modo per contribuire alle spese delle proprie famiglie o, semplicemente, di non gravare sui propri nuclei familiari. Sembrano funzionare le cose, invece, con gli educatori. Certo, dovrebbero essere 11 e al momento sono 10, però lavorano bene coi detenuti, organizzano loro attività. L’ultima che si sono inventati? Stanno restaurando e ridipingendo i vecchi sgabelli, ne vengono fuori delle vere e proprie opere d’arte».

E poi è un modo, insomma, per non dare di matto tra le mura di un carcere. «Sul fronte del diritto alla salute ci sarebbe tantissimo da fare, a cominciare dalle visite specialistiche da fare all’esterno o dagli esami. I tempi sono biblici e arrivare a una diagnosi – spiega – è molto complicato. Così si finisce per curare il dolore con gli antidolorifici, senza indagarne le cause. E poi ci sono tantissimi casi di persone con problemi psichici o vittime di tossicodipendenze».

«Eppure – ammette ancora l’esponente radicale – l’accoglienza dei detenuti dell’Ucciardone è sempre calorosa. Mi hanno chiesto della mia salute, si preoccupavano del mio sciopero della fame. E poi una cosa, con forza, hanno chiesto di riportare all’esterno: anche da loro, forse con più forza, giunge l’appello per tenere in vita Radio Radicale, l’unica realtà che dà voce ai loro problemi».


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