Regione, uno psicologo a disposizione dei dipendenti «Un tempo motivo di vanto, oggi ci si vergogna un po’»

Se un tempo era motivo di vanto, oggi si prova un certo imbarazzo nel dichiarare pubblicamente il proprio lavoro. Succede tra i dipendenti della Regione, che in passato raccontavano fieramente all’esterno di essere dei funzionari regionali. Mentre oggi, spesso, lo dicono quasi con pudore. Il dato, non recentissimo in realtà, è emerso dai focus group condotti nel 2011 nell’ambito delle valutazioni del rischio da stress lavoro-correlato dal Servizio 2 dell’assessorato regionale alla Funzione pubblica, che si occupa proprio di prevenzione e protezione dei lavoratori sui luoghi di lavoro. Dalle misure di sicurezza fisiche fino alla valutazione dello stress collegato al luogo e alle dinamiche lavorative. Una valutazione che la Regione, come qualunque altro datore di lavoro, è tenuta a fare ai sensi del Testo unico sulla sicurezza sul lavoro. Ma che si sarebbe potuta limitare all’adempimento burocratico. 

Complice invece la volontà dei vertici burocratici dell’ufficio e la presenza di una psicologa tra i funzionari del dipartimento, Giuseppina Ida Giuffrida, ecco che l’adempimento burocratico si è presto trasformato in una valutazione complessiva sullo stato di soddisfazione dei dipendenti dell’assessorato, attraverso un questionario somministrato dalla specialista a partire dal 2008. Per arrivare all’analisi dei risultati, è stato necessario un lungo lavoro, concluso nel 2011, che ha dato il via, l’anno successivo, alla costituzione di circa 40 focus group «ai quali – racconta Giuffrida – hanno partecipato centinaia di dipendenti regionali, a tutti i livelli e in tutte le strutture, proprio per capire dove e come intervenire per ridurre il rischio stress».

«È proprio in quella fase – aggiunge il dirigente Giuseppe Di Rosa – che si è sentita la necessità di immaginare, in via sperimentale, uno sportello di ascolto psicologico, inizialmente rivolto ai dipendenti dell’allora assessorato al Personale, oggi alla Funzione Pubblica». Tra le ragioni della scelta, gli alti livelli di insoddisfazione registrati tra i lavoratori della Regione, ma anche quel campanello d’allarme su una certa forma di pudore nel parlare della propria professione. Erano gli anni del boom dei movimenti cosiddetti antipolitici, della lotta agli sprechi dopo le denunce nel libro La Casta di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, delle tante inchieste giornalistiche che ne seguirono, indagando tra i rivoli dei bilanci pubblici, ma anche dei cosiddetti furbetti del cartellino, di cui talvolta le cronache raccontano ancora oggi. È così che più di qualcuno quasi si vergognava nel dire di lavorare alla Regione.

Ma le ragioni che hanno accompagnato la nascita dello sportello di ascolto psicologico sono state anche altre: come lo stress causato dall’obbligo di utilizzo del computer da parte di chi, fino a quel momento, aveva raccolto e archiviato pratiche, protocolli e documenti soltanto in formato cartaceo. E poi i front office, spesso caotici, che sottopongono a stress chi è chiamato a dare risposte al cittadino, così come i ruoli apicali, di responsabilità, tra i vertici burocratici della Regione. Pressioni percepite anche tra i dipendenti della Protezione civile chiamati a intervenire nei luoghi del disastro o tra chi si assume responsabilità legate alle prestazioni sanitarie da erogare ai siciliani.

Negli anni, lo sportello di ascolto (anche se ancora i dati ufficiali sono in fase di elaborazione) «ha messo a disposizione di circa un migliaio di dipendenti regionali che ne hanno fatto richiesta – racconta Tommaso Gioietta, predecessore di Giuffrida alla guida dello sportello – uno psicologo dedicato (fino a un massimo di cinque sedute), per approfondire le difficoltà, correggere il tiro nel caso in cui si riscontrasse un reale disagio causato dall’ambiente di lavoro o, al contrario, indirizzare l’utente verso un percorso individuale, privato o convenzionato, per risolvere le fonti di stress che non dipendono dall’ambiente lavorativo».

Adesso la Regione, su input del dirigente generale della Funzione Pubblica, dopo i quattro anni di sperimentazione sta pensando a un’implementazione della struttura, anche nell’ottica di «facilitare – si legge in una delibera di giunta approvata lo scorso ottobre – l’accesso al servizio al personale che lavora fuori Palermo».


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