Ucciardone, premio coraggio Emanuela Loi a Rita Barbera «Il carcere come laboratorio dove scoprire di avere talento»

Da 35 anni dirige carceri. Da otto è impegnata all’Ucciardone e gestisce realtà complesse, cercando di tutelare al contempo i diritti dei detenuti e la sicurezza del personale. Tutto senza trascurare quella che dovrebbe essere la funzione primaria di un istituto di pena: la rieducazione per il reinserimento in società. Negli anni ha infatti aperto le porte del carcere a numerose attività, anche culturali. Queste le motivazioni per le quali Rita Barbera è tra le 16 donne che sabato hanno ricevuto il Premio coraggio Emanuela Loi 2018.  Tra le siciliane premiate anche Claudia Loi, sorella di Emanuela, Magda Scalisi imprenditrice che si è ribellata al pizzo e Lidia Vivoli, scampata a un femminicidio. Presente anche il questore di Palermo Renato Cortese

Un riconoscimento dedicato a un angelo della scorta «all’agente della polizia morta tragicamente al fianco del giudice Paolo Borsellino. Una donna che con coraggio ha abbracciato la sua missione», afferma Angela Fundarò Mattarella, presidente del Pool anti violenza e per la legalità. A premiare Rita Barbera, Antonino Balsamo, presidente della I Sezione della Corte di Assise presso il Tribunale di Caltanissetta. 

 «È bello ricevere un riconoscimento, non pensavo di tenerci più di tanto e invece fa piacere ricevere un riconoscimento per il lavoro svolto – dice la dirigente della Casa Circondariale -. La situazione è migliorata oggi rispetto a un passato in cui c’era un sovraffollamento disumano. Da un po’ di anni a questa parte, dalla sentenza Torreggiani con la quale la Corte europea dei Diritti umani ha condannato l’Italia per lo stato delle sue carceri, il problema si è un po’ attutito. La cosa difficile da colmare è la mancanza di personale che possa aiutare i detenuti ad avere un percorso di riabilitazione e rieducazione. Inoltre anche il territorio è poco preparato all’accoglienza degli ex detenuti, verso i quali c’è un pregiudizio che blocca il loro eventuale reinserimento. Certo è difficile in tempi come i nostri. Viviamo un periodo in cui non c’è lavoro nemmeno per i ragazzi che studiano e che sono costretti ad andare via. Ma è vero che esiste anche un dovere rispetto alla prevenzione, per mettere chi ha avuto delle difficoltà nelle condizioni di non avere alibi per sbagliare di nuovo». 

In tanti anni ci sono stati tanti casi difficili da gestire, i problemi più seri da affrontare «sono le aggressioni nei confronti del personale o alcuni detenuti autolesionisti, con gravi disturbi – aggiunge la direttrice del carcere -. Da una parte c’è un essere umano sofferente, ancorché aggressivo, e dall’altra parte l’esigenza di tutelare il personale: ormai il carcere è una discarica sociale». L’Ucciardone non ha una sezione dedicata a questo tipo di disturbi, «tendiamo all’integrazione – aggiunge – anche se ci stiamo organizzando per trovare soluzioni umane e accettabili per questo tipo di detenuti, anche perché non ci sono strutture nel territorio in grado di accoglierli». 

Tante, si diceva, sono le iniziative messe in piedi in questi anni: «Abbiamo la ludoteca e un’area verde dove si incontrano genitori e figli. Una sezione è piena di aule scolastiche: la mattina sembra più una scuola che un carcere e ne sono orgogliosa. Il carcere diventa un laboratorio dove ciascuno può scoprire delle predisposizioni, dei talenti e un’intelligenza che non sapeva di avere, in linea con la funzione rieducativa della pena. Corsi di formazione come giardinaggio, ristorazione, operatori socio-assistenziali, sono stati approvati ma non partono, speriamo che la Regione possa sbloccare la situazione al più presto. C’è anche la realtà ormai consolidata del pastificio, il Giglio Lab, che sta esportando pasta secca e stiamo per attivare una sartoria artigianale». 


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