Siria, il ruolo di Sigonella in un intervento degli Usa «Difficile si attacchi da qui, ma pattugliatori in volo»

«Quanto sta avvenendo a Sigonella ci pone di fronte a una domanda precisa: i nostri interessi sono ancora in linea con le alleanze siglate oltre mezzo secolo fa?». A porre la questione è Marco Lombardi, esperto di sicurezza e docente alla Cattolica di Milano, dopo che negli ultimi giorni si sono intensificate le attività militari statunitensi in vista di un possibile attacco in Siria. A esplicitare la volontà di passare alla maniere forti contro Bashar al-Assad – accusato nei giorni scorsi di avere usato armi chimiche contro i ribelli assediati a Douma, sobborgo a est di Damasco – è stato il presidente degli Stati Uniti Donald Trump. «La Russia promette di abbattere tutti i missili diretti verso la Siria. Preparati, Russia, perché ne arriveranno di belli, nuovi e intelligenti», ha scritto il presidente statunitense in un tweet. Parole alle quali finora non sono seguiti bombardamenti, ma che hanno innalzato il livello di tensione in tutta l’area, al punto che per molti sarebbe soltanto una questione di tempo prima che gli Stati Uniti, con il sostegno di Francia e Gran Bretagna, avviino un’operazione contro obiettivi siriani. 

In tal senso da Sigonella, la base militare statunitense nel Catanese, già mercoledì si sono innalzati i P8 Poseidon, boeing specializzati nelle attività di pattugliamento marittimo e antisommergibili. «Sono manovre coerenti con gli accordi Nato in vigore – spiega Lombardi -. Anche da Vicenza sono stati movimentati aerei d’attacco e ieri sera sono stati allertati gli airborne, l’unità paracadutista dell’United States Army. Per ora non è necessario che il governo italiano dia autorizzazioni specifiche, perché ufficialmente si tratta di azioni di monitoraggio». Secondo il docente, la cornice normativa lascia margini per mascherare gli intenti militari. «Tra le maglie di queste regole si possono fare passare molte cose. D’altronde gli aerei pattugliatori non sferrano direttamente attacchi, ma sono fondamentali per prepararli», sottolinea. Detto questo, per Lombardi non è scontato che agli annunci di Trump seguirà un’azione violenta. «Non è sicuro che si sparino dei missili – commenta -. Ho la sensazione che lo scenario siriano stia servendo alle potenze internazionali per riposizionarsi sullo scacchiere mondiale: da una parte Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna e poi Arabia Saudita e Quatar; dall’altra Russia, Cina e Iran. Chiaramente la tensione è molto alta, ma non è detto che si passi ai fatti».

A rimanere poco chiari al momento sono anche i contorni dell’attacco a Douma. «Gli elementi per dire che si sia trattato di armi chimiche ci sono – dichiara Francesco Tosato, ricercatore del Centro studi internazionali -. Però non basta a spiegare cosa è successo e senza un’inchiesta indipendente non è possibile farlo». Il riferimento di Tosato va innanzitutto al tipo di sostanza con cui sarebbero entrate in contatto le tantissime persone colpite, in un attacco che ha causato almeno un centinaio di morti. «Il sarin è strettamente legato agli ambienti militari, fosse sarin sarebbe probabile un collegamento con il regime di Assad – continua lo studioso -. Ma se invece si trattasse di cloro, come peraltro in questi giorni si dice, le variabili aumentano perché si tratta di un gas industriale che in passato è stato in possesso anche di milizie ribelli o di realtà come Daesh (Isis, ndr). Quello che voglio dire è che il quadro cambierebbe se si scoprisse che le bombole di gas si trovavano già nella zona di Douma e sono esplose in seguito a un bombardamento di Assad contro le milizie Jaysh al Islam». Queste sono state le ultime a cedere alla pressioni del presidente siriano, intenzionato a riprendersi le zone a est della capitale da tempo in mano ai ribelli.

La storia però insegna che la ricerca di una verità oggettiva – ieri pomeriggio il presidente francese Emmanuel Macron si è detto certo che l’attacco sia stato al cloro e riconducibile ad Assad – potrebbe essere preceduta dall’uso delle armi. «Non lo si può escludere – aggiunge Tosato – ma è anche probabile che sia che Stati Uniti che Russia abbiano l’interesse a non spingersi oltre le minacce, perché attaccare oggi in Siria non è così semplice. In quel territorio sono presenti forze di diversi paesi, un errore potrebbe creare scontri diplomatici molti delicati». In ogni caso, nonostante gli avvertimenti di Vladimir Putin in merito a una pronta risposta della Russia in caso di attacco statunitense, i rischi diretti per l’Italia, e la Sicilia in particolare, sarebbero più che ridotti. «La Russia, rispetto all’attacco di un anno fa contro la base di Shayrat, quando gli Stati Uniti agirono dopo un attacco chimico siriano a Khan Shaykhun, ha preso una posizione decisamente più ferma nei confronti di una nuova operazione di Trump – va avanti Tosato -. Comunque è difficile immaginare che la Russia risponderebbe attaccando le basi Nato. Poi per quanto riguarda quelle italiane, va considerato che ci troviamo abbastanza lontani dalla Siria e se gli Stati Uniti decideranno di attaccare è più facile che lo facciano dalle navi che da aerei che partano da qui». Nel caso della base di Birgi, a Trapani, non ci sarebbero neanche le condizioni. «Si tratta di una base esclusivamente italiana ed è impossibile che venga coinvolta in un’operazione senza che il nostro governo ne faccia parte in maniera attiva», chiarisce Tosato. A riguardo il premier in carica Paolo Gentiloni ha fatto sapere che l’Italia non parteciperà con propri uomini in Siria. 

Che bombardi o meno, gli ultimi giorni hanno riacceso i riflettori su Trump e sulla politica estera degli Stati Uniti. «Credo sia giunto il momento per ripensare gli accordi che un Paese come il nostro ha firmato in una fase storica sicuramente diversa da quella attuale – ribadisce Lombardi -. A certe domande non si può sfuggire, né tantomeno si può fare a meno di notare che la presunta superiorità etica statunitense da anni non esiste più. Intendiamoci – conclude il docente – gli Stati Uniti che oggi vogliono intervenire in Siria sono la stessa forza che accoglie e fa affari con governi come quello saudita e qatarino, nazioni che la stessa Hillary Clinton ha dichiarato che finanziano il terrorismo islamico».


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