Barcellona Pozzo di Gotto, l’attesa per il venerdì santo I canti tradizionali nelle due processioni in simultanea

L’avvicinarsi del periodo pasquale coincide in Sicilia con i preparativi per le processioni che caratterizzano la celebrazione della festività. A Barcellona Pozzo di Gotto da secoli dà vita a una tradizione unica nel suo genere. In occasione del Venerdì Santo, lungo le vie urbane, si svolgono due distinte e simultanee processioni. La ragione va ricercata nella doppia anima della città. Una antica e profonda, l’altra sfarzosa e appariscente. Lo studioso e presidente onorario della Proloco, Gino Trapani, parte da lontano per svelare che l’origine di questa duplicità sta nell’annessione dei comuni di Barcellona e Pozzo di Gotto per ordine di Ferdinando II re delle Due Sicilie. «Anticamente – spiega Trapani a Meridionews – erano due borghi limitrofi separati dal fiume Longano. Il primo apparteneva al territorio di Castroreale, mentre il secondo a Milazzo. Nel 1639, Pozzo di Gotto ottenne l’autonomia; Barcellona invece dovette attendere fino al 1815. Infine, per decreto regio, i due Comuni si unirono nel 1836, sotto la denominazione di Barcellona Pozzo di Gotto, ma usi e costumi delle rispettive processioni restarono immutati».

La doppia processione del Venerdì Santo, detta delle varette, è una tradizione che continua ininterrottamente da centinaia di anni. La più antica è quella di Pozzo di Gotto che risale al 1621, più recente quella barcellonese del 1871. I due cortei, caratterizzati dalla presenza di tredici vare ciascuno raffiguranti i misteri della Passione, si muovono alla stessa ora ma da luoghi differenti. Se quello di Barcellona parte dalla chiesa di san Giovanni Battista, quello di Pozzo di Gotto inizia dalla chiesa di santa Maria Assunta. L’incontro delle due processioni avviene all’imbrunire nei pressi del torrente Longano e costituisce uno dei momenti più suggestivi e sentiti dalla comunità. Dietro le vare, gruppi di cantori – i visillanti – intonano il canto polifonico Vexilla Regis di memoria gregoriana. «Si tratta – continua lo studioso – dell’Inno alla Croce di Venanzio Fortunato, autore latino della fine del VI sec. d.C., e simboleggia il trionfo della Croce sul peccato e la morte. Il testo in latino, diviso in pedi (strofe, ndr), viene cantato per tutta la durata della processione. La prima voce, che avvia il verso iniziale, viene seguita dal coro mentre lo iautu, (l’acuto, ndr) caratterizza la parte finale di ogni strofa».

Ma quali caratteristiche presentano i due cortei? «La processione di Barcellona è appariscente e piena di addobbi. Questo aspetto si ritrova nella tipica visilla barcellonese: il canto è gridato – racconta Giuseppe Bisignani, visillante della confraternita Gesù porta la Croce e patrocinatore di vara (la figura che si prende cura dell’addobbo e della manutenzione, ndr) – perché poggia sulla potenza delle voci e costituisce uno straordinario esempio di trasmissione orale che ancora oggi permette alle nuove generazioni di proseguire una tradizione tanto cara alla nostra città». «La caratteristica della visilla pozzogettese – interviene Walter Rizzo, visillante della confraternita di Sant’Eusenzio di Pozzo di Gotto – è che risulta molto contenuta nei toni, rigida nell’esecuzione rispetto a quella barcellonese. Non sono presenti gorgheggi o libertà canore. In processione sfilano vare molto piccole, realizzate in cartapesta, paglia e legno e, la maggior parte, risalenti ai primi del Seicento». Ulteriori differenze si riscontrano anche nei costumi dei giudei che scortano la vara del Cristo morto. «Mentre a Barcellona i soldati sono dei romani nelle loro vesti tradizionali – chiarisce Rizzo – a Pozzo di Gotto i giudei vestono con colori sgargianti e indossano un copricapo molto particolare. Si tratta di un elmo in lamiera con un piumaggio di penne di pavone che può arrivare fino a un metro d’altezza e che, molto probabilmente, simboleggia la cattiveria dell’uomo nel condannare Cristo».

Realizzare un lungometraggio sulla Visilla è il progetto, ancora in cantiere, di due giovani registi barcellonesi. L’idea di Graziano Molino ed Emanuele Torre è quella di seguire alcuni dei visillanti, precedentemente scelti per la loro particolare storia, durante i riti pasquali. «Vogliamo raccontare – dichiarano – una storia della Visilla trattandola per quello che è, cioè un canto tradizionale tramandato oralmente, la cui storia è nelle parole di coloro che la cantano e non sui libri. Ecco perché abbiamo deciso di chiamare questo documentario Visilla – Frammenti di una ricerca su un canto tradizionale». Per riuscirci hanno avviato una raccolta fondi online sulla piattaforma Produzioni dal basso per coprire le spese di produzione, post produzione, composizione di musiche originali e Dvd. «Scopo del documentario – conclude Molino – è quello di fare conoscere a un pubblico più vasto, tramite i festival di cinema nazionali e internazionali, la nostra terra attraverso gente comune che, con devozione e dedizione, tramanda da secoli tradizioni che sono ancora vive e sentite».


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