Trivelle, bocciata nuova piattaforma al largo di Ragusa Restano molti progetti di sfruttamento di petrolio e gas

Esultano a metà gli ambientalisti siciliani. Da una parte il ministero dell’Ambiente ha bocciato la costruzione della piattaforma petrolifera Vega Bal largo della costa di Ragusa e in cogestione tra Edison (al 60 per cento) ed Eni (il restante 40 per cento). Dall’altra al cane a sei zampe è stato concessa la modifica del progetto offshore ibleo, con il gas estratto dai campi Argo e Cassiopea – di fronte alla città di Licata – che verrà inviato e trattato all’interno della Raffineria di Gela. È il risultato delle attività di valutazione di febbraio da parte del governo, che lascia comunque  inalterati gli equilibri della presenza industriale in Sicilia. 

Due progetti dall’iter diverso, quelli valutati dal ministero dell’Ambiente. Molto più accidentato il primo, visto che di Vega B si parla da almeno trent’anni. Con la bocciatura degli scorsi giorni viene dato lo stop allo sfruttamento di otto nuovi pozzi petroliferi, per motivi sismici e di impatto ambientale, danni alla componente faunistica marina e ai cetacei e per la vicinanza al sito SIC Fondali Foce del fiume Irminio. A contribuire al risultato le osservazioni presentate da Legambiente

Mentre l’ampliamento dell’offshore ibleo è stato agevolato dalla chiusura degli impianti gelesi nel 2014. Ma anche qui il progetto è stato modificato in corso d’opera. Fino a un anno e mezzo fa era prevista la costruzione di un’altra piattaforma petrolifera, la Prezioso K. Poi, con un’improvvisa retromarcia e nonostante la vittoria di Eni ed Edison al Consiglio di Stato contro le associazioni ambientaliste, Eni ha deciso di realizzare una pipeline di 60 chilometri, che consentirà il trasporto del metano dal mare a terra, all’interno dell’isola 27 dell’ex stabilimento petrolchimico gelese. E con l’approvazione del ministero, che ha ritenuto il progetto «migliorativo» rispetto a quello iniziale, va avanti – seppur tra ritardi e contestazioni – il cosiddetto processo di riconversione dell’ex Raffineria di Gela. 

E non è finita. Con un’interpellanza all’Ars presentata lo scorso 18 febbraio, il Movimento 5 stelle chiede ragguagli «sull’istanza per il rilascio del permesso di ricerca di idrocarburi nel golfo di Gela». A preoccupare i deputati pentastellati è l’ultimo progetto presentato da Eni. C’era tempo fino al 3 febbraio, da parte della Regione Siciliana, per presentare le proprie osservazioni. I pentastellati chiedono al governo se ciò sia avvenuto, «fatto salvo l’obbligo di esprimere proprio parere non vincolante anche fuori da predetto termine» e «se abbiano intenzione di opporsi alle numerose istanze di ricerca e coltivazioni di idrocarburi lungo il Canale di Sicilia».

Non solo mare, tra l’altro. Al vaglio del ministero c’è anche un nuovo progetto, sempre da parte del cane a sei zampe, per l’esplorazione e la ricerca di petrolio e gas e che riguarda i territori di tre province (Caltanissetta, Catania ed Enna) e 12 Comuni: Gela, Mineo, Ramacca, San Michele di Ganzaria, Mazzarino, Aidone, Mirabella Imbaccari, Piazza Armerina, Caltagirone, Grammichele, Niscemi, San Cono. Si tratta di un’area di oltre 1500 chilometri quadrati dove esistono vincoli idrogeologici, riserve naturali, siti di interesse comunitario, zone protette: dalla Sughereta di Niscemi al Biviere di Gela, dal Bosco di Santo Pietro al Lago Ogliastro. Dopo le integrazioni presentate a gennaio, il progetto è attualmente in fase di istruttoria tecnica.

I casi citati testimoniano che la Sicilia continua ad attrarre le mire delle società energetiche. Lo confermano i numeri diffusi da Legambiente: l’Isola contribuisce con il 18 per cento della produzione di olio greggio (rispettivamente 506mila tonnellate sulla terra ferma e 229mila tonnellate in mare), a fronte di 4,1 milioni di tonnellate nazionali, e con il 3,6 per cento della produzione di gas

Sul fronte del petrolio, dal 2010 al 2017 sono state otto le concessioni produttive che in Sicilia hanno permesso di estrarre in totale 7,9 milioni di tonnellate di greggio, di cui 1,8 milioni, pari a circa il 23 per cento, esenti dal pagamento delle royalties. In questi mesi sono state presentate ulteriori dieci istanze di permesso di ricerca su terraferma da diverse compagnie petrolifere. La situazione non cambia con le estrazioni di gas: dal 2010 al 2017 le dodici concessioni produttive in Sicilia hanno estratto in totale 2,2 miliardi di metri cubi di cui 1,4 miliardi, ovvero il 62 per cento, esenti dal pagamento delle royalties. 


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